L’Italia cerca da tempo di riformare la sua politica sulla disabilità per affrontare almeno tre problemi di lunga data: le incongruenze con la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, che richiedono un aggiornamento nella valutazione della disabilità; la frammentazione della valutazione e del supporto alla disabilità; e le conseguenti disparità tra le regioni italiane nell’offerta di servizi per la disabilità e nell’utilizzo delle prestazioni per la disabilità.
Gli indicatori sociali e occupazionali per le persone con disabilità in Italia sono ambivalenti e di non immediata interpretazione. I divari occupazionali e di povertà tra persone con e senza disabilità sono relativamente bassi e inferiori alla media OCSE. Tuttavia, questo risultato non è spiegato da tassi di occupazione più elevati o da tassi di povertà più bassi tra le persone con disabilità in Italia. I divari di disabilità più bassi in Italia sono dovuti a bassi livelli di reddito e occupazione anche per le persone senza disabilità. Ciò evidenzia la necessità di considerare ulteriori ambiti di riforma per migliorare i risultati sociali e occupazionali per tutte le persone in Italia, a vantaggio anche delle persone con disabilità.
Le prestazioni e i servizi per la disabilità disponibili in Italia sono relativamente generosi e le persone che hanno diritto a prestazioni e servizi sono quindi relativamente ben supportate. Tuttavia, il ricorso ai supporti è spesso basso, sia per la complessità del sistema che per la mancanza di risorse, e le persone che ne sono escluse sono spesso vulnerabili. Ciò evidenzia l’importanza cruciale della valutazione della disabilità nel determinare chi va supportato e chi escluso. Molte delle persone escluse devono affrontare ostacoli significativi nell’accesso al lavoro e all’integrazione sociale.
Il supporto alle persone con disabilità varia da regione a regione. Le regioni più ricche del Nord del Paese sono maggiormente in grado di fornire servizi essenziali per la disabilità rispetto alle regioni più povere del Sud. Per contro, il ricorso alle prestazioni di disabilità, che sono finanziate interamente dai bilanci nazionali, è molto più elevato nel Sud ed è aumentato nell’ultimo decennio. Il maggior utilizzo nel Sud (5‑7% della popolazione in età lavorativa, rispetto a solo il 2‑3% del Nord) è anche in parte una conseguenza dei maggiori incentivi finanziari a richiedere le prestazioni per le persone che vivono nelle regioni più povere: essendo identici in tutta Italia, le prestazioni di invalidità non contributive sono più attraenti, rispetto ai salari più bassi e alle condizioni economiche più povere di quelle regioni, sebbene i pagamenti non siano eccessivamente generosi.
Le disuguaglianze regionali sono anche legate alle differenze nella valutazione della disabilità, sia tra le regioni che all’interno delle stesse. La valutazione dello stato di disabilità, che determina il grado di ‘invalidità civile’ e l’idoneità alle prestazioni e ai servizi nazionali, è supervisionata dall’Istituto Nazionale di Sicurezza Sociale (INPS), ma attuata a livello provinciale con un notevole grado di discrezionalità. Inoltre, l’ordinamento italiano prevede cinque diverse valutazioni dello stato di disabilità in parallelo, rendendo il sistema inefficiente e difficile da comprendere. Le valutazioni dei bisogni, che determinano l’idoneità ai servizi di livello subnazionale, vengono effettuate a livello locale, con notevoli variazioni tra le diverse aree del Paese, ma generalmente con una forte attenzione ai bisogni reali delle persone con disabilità. Le due valutazioni – del grado di invalidità civile delle persone e dei loro bisogni – sono scollegate tra loro.
La legge delega di fine 2021 indica la direzione della prossima riforma delle politiche sulla disabilità, che inizierà con una riforma della valutazione della disabilità. Attualmente, la valutazione dell’invalidità civile tende a trascurare che le condizioni di ridotta funzionalità da lievi a moderate possono comunque comportare una disabilità significativa, come nel caso di alcuni disturbi mentali; all’estremo opposto, l’impostazione vigente tende anche a trascurare che le persone con gravi condizioni di ridotta funzionalità mantengono delle capacità. L’integrazione della Scheda per la valutazione della disabilità dell’OMS (nota a livello internazionale con l’acronimo WHODAS, dall’inglese WHO Disability Assessment Schedule), che valuta il funzionamento e le prestazioni delle persone, nella valutazione dell’invalidità civile attualmente improntata a un approccio medico correggerebbe questo pregiudizio: la valutazione della disabilità diventerebbe più accurata, più in linea con l’odierno intendimento multidimensionale della disabilità e più coerente con qualsiasi successiva valutazione individuale delle effettive esigenze di supporto.
La sperimentazione di tale nuova modalità di valutazione in quattro regioni italiane diverse tra loro – Campania, Lombardia, Regione Autonoma della Sardegna e Provincia Autonoma di Trento – dimostra che gli operatori sociali in Italia sono in grado di utilizzare lo strumento WHODAS in modo valido e affidabile, indipendentemente dal contesto regionale. La valutazione mostra che WHODAS potrebbe essere usato in modo efficace per segnalare ai valutatori qualsiasi disparità significativa tra la capacità funzionale e la compromissione della salute, indicando la necessità di una valutazione più approfondita. Il peso attribuito alla componente funzionale della disabilità nel processo decisionale rispetto alla componente medica è una scelta politica.
Per rendere le politiche sulla disabilità più efficienti e più efficaci per le persone con disabilità, il Governo dovrebbe considerare di:
Unificare le cinque valutazioni esistenti dello stato di disabilità e aggiungere una componente funzionale alla limitata valutazione medica dello stato di disabilità delle persone, utilizzando il questionario WHODAS, che dovrebbe essere somministrato dagli operatori sociali.
Utilizzare i punteggi WHODAS per segnalare le discrepanze tra le dimensioni mediche e funzionali della disabilità, con l’obiettivo di esaminare più da vicino la situazione reale e della capacità di circa un terzo di tutte le persone che accedono al sistema di disabilità.
Ridurre la discrezionalità nella valutazione della disabilità attraverso linee guida più chiare, armonizzando le valutazioni dei bisogni in tutto il territorio e rafforzando il legame tra lo stato di disabilità e le valutazioni dei bisogni.
Aiutare le persone con disabilità a orientarsi nel complesso sistema vigente attraverso i Punti Unici di Accesso (PUA), che già esistono in alcune regioni e Comuni. I PUA dovrebbero idealmente essere l’unico punto di accesso al sistema della disabilità, operare in modo coerente in tutto il Paese e avere a disposizione risorse umane sufficienti.
Migliorare l’efficienza del sistema di protezione sociale attraverso una migliore raccolta e condivisione sistematica dei dati, meccanismi di finanziamento che evitino la duplicazione di prestazioni e servizi e una migliore cooperazione a livello regionale e nazionale.
Ridurre le disparità territoriali migliorando la capacità di fornire servizi sanitari e sociali efficaci nelle regioni meridionali e rafforzando gli incentivi al lavoro e le opportunità lavorative per le persone potenzialmente idonee a ricevere le prestazioni di invalidità, per affrontare i problemi derivanti dalla soglia di reddito e dal modello di pagamento unico in tutta Italia.
Dare priorità all’integrazione delle persone con disabilità nel mercato del lavoro, collegando le prestazioni di disabilità alle misure sull’attivazione, consentendo ai servizi pubblici per l’impiego di sostenere le persone con disabilità in grado di lavorare e concentrandosi sull’intervento precoce per prevenire l’uscita dal mercato del lavoro.