Dopo un inizio del 2023 più forte del previsto, sostenuto dal calo dei prezzi dell'energia e dalla riapertura della Cina, si prevede una crescita più contenuta. L'impatto dell'inasprimento della politica monetaria è sempre più visibile, la fiducia delle imprese e dei consumatori è diminuita e la ripresa in Cina si è affievolita.
Secondo le proiezioni, nel 2023 e nel 2024 la crescita del PIL globale rimarrà al di sotto della media, rispettivamente al 3 % e al 2,7 %, frenata dall'inasprimento della politica monetaria, che è necessario per contenere l'inflazione.
Si prevede che la crescita annuale del PIL negli Stati Uniti rallenti, passando dal 2,2 % dell'anno in corso all'1,3 % nel 2024, per effetto delle condizioni finanziarie più rigide che moderano le pressioni dovute alla domanda. Nella zona euro, dove il livello della domanda è già debole, la crescita del PIL dovrebbe scendere allo 0,6 % nel 2023 per poi risalire all'1,1 % nel 2024, con la graduale dissoluzione degli effetti negativi dell'inflazione sui redditi reali. Secondo le stime, la crescita in Cina dovrebbe essere frenata da una scarsa domanda interna e dalle tensioni strutturali dei mercati immobiliari, scendendo al 5,1 % nel 2023 e al 4,6 % nel 2024.
L'inflazione complessiva è in calo, ma quella di fondo rimane persistente in molte economie, frenata dalle pressioni sui costi e dai margini elevati in alcuni settori.
Secondo le proiezioni, l'inflazione si ridurrà gradualmente tra il 2023 e il 2024, ma resterà al di sopra degli obiettivi delle banche centrali nella maggior parte dei Paesi. Si prevede che l'inflazione complessiva nelle economie del G20 scenderà al 6 % nel 2023 e al 4,8 % nel 2024, mentre l'inflazione di fondo nelle economie avanzate del G20 diminuirà dal 4,3 % quest'anno al 2,8 % nel 2024.
I rischi rimangono al ribasso. Le incertezze relative all'incisività e alla rapidità di trasmissione degli effetti della politica monetaria, nonché alla persistenza dell'inflazione, continuano a destare preoccupazioni. Le conseguenze negative dell'innalzamento dei tassi di interesse potrebbero rivelarsi più forti del previsto e una prolungata persistenza dell'inflazione richiederebbe un ulteriore inasprimento delle politiche, che potrebbe esporre le vulnerabilità finanziarie.
Un rallentamento più marcato del previsto in Cina costituisce un ulteriore rischio chiave che inciderebbe sulla crescita della produzione in tutto il mondo.
La politica monetaria deve rimanere restrittiva fino a quando non vi saranno chiari segnali di una riduzione sostenibile delle pressioni inflazionistiche sottostanti. I tassi di interesse di policy sembrano aver raggiunto, o quasi, i loro livelli massimi in gran parte delle economie, compresi gli Stati Uniti e la zona euro, accompagnati da valutazioni di merito più finemente calibrate man mano che gli effetti dell'aumento dei tassi di interesse diventano visibili.
I governi devono far fronte a crescenti pressioni di bilancio dovute all'incremento degli oneri del debito e alle spese aggiuntive legate all'invecchiamento della popolazione, alla transizione climatica e alle esigenze di difesa. Sono necessari maggiori sforzi sul breve termine per ricostituire i margini di bilancio così come piani di bilancio credibili e a medio termine per allineare meglio le politiche macroeconomiche a breve termine e contribuire a garantire la sostenibilità del debito.
Occorre rilanciare gli sforzi di politica strutturale per rafforzare le prospettive di crescita. La riduzione degli ostacoli nei mercati del lavoro e dei prodotti e il potenziamento dello sviluppo delle competenze contribuirebbero a stimolare gli investimenti, la produttività e la partecipazione della forza lavoro, nonché a rendere la crescita più inclusiva.
Tra le priorità chiave figura la necessità di rilanciare il commercio mondiale, che rappresenta un'importante fonte di prosperità a lungo termine per le economie avanzate e per quelle emergenti. Le preoccupazioni in materia di sicurezza economica non dovrebbero impedire di approfittare delle opportunità per ridurre gli ostacoli agli scambi, in particolare nei settori dei servizi.
È necessario potenziare la cooperazione internazionale per garantire un migliore coordinamento e progressi più rapidi negli sforzi di mitigazione del carbonio.
Prospettive economiche dell'OCSE, Rapporto intermedio, settembre 2023
Sintesi
Sviluppi recenti
La ripresa della crescita mondiale osservata nel primo semestre del 2023 potrebbe rivelarsi di breve durata
1. Nel primo semestre del 2023 il PIL mondiale ha registrato una progressione annualizzata del 3,2 % rispetto al secondo semestre del 2022 (Figura 1, Riquadro A), un valore leggermente superiore a quanto previsto alcuni mesi fa. La crescita è stata relativamente salda negli Stati Uniti e in Giappone, ma debole in gran parte dell'Europa, in particolare in Germania. Tra le economie emergenti del G20, le sorprese sulla crescita sono state finora per lo più positive, soprattutto in Brasile - grazie ai risultati agricoli favorevoli connessi alle condizioni meteorologiche - India e Sud Africa. La crescita in Cina, tuttavia, ha perso slancio e l'impulso iniziale derivante dalla riapertura si è smorzato, mentre i problemi strutturali nel settore immobiliare hanno continuato a pesare sulla domanda interna.
2. Diversamente dalla produzione mondiale, i volumi degli scambi commerciali sono aumentati più lentamente del previsto nel primo semestre di quest'anno, con un calo dell'intensità degli scambi (Figura 1, Riquadro B). Il volume degli scambi di merci è stato particolarmente esiguo, soprattutto nelle principali economie avanzate, mentre il commercio mondiale di beni è sceso del 2½ per cento nel corso dell'anno fino a giugno. Il commercio di servizi ha rallentato meno, aiutato dalla forte e costante ripresa del turismo a seguito del duro calo subito dal settore nei primi periodi della pandemia da COVID-19.
I recenti segnali, in particolare quelli desunti dagli indicatori delle indagini, indicano una perdita di slancio
3. Gli indicatori di attività ad alta frequenza nelle principali economie presentano un quadro contrastante, ma nel complesso segnalano una perdita di slancio nel secondo semestre del 2023. I mercati del lavoro rimangono generalmente rigidi, con tassi di disoccupazione ai minimi, o prossimi ai minimi, registrati da diversi anni e tassi di posti vacanti ancora elevati in termini storici nella maggior parte delle principali economie avanzate. Tuttavia, il numero di posti vacanti è diminuito costantemente, la crescita dei posti di lavoro ha subito un rallentamento e i tassi di dimissioni hanno iniziato a ridursi. Il calo dell'inflazione complessiva sta contribuendo a stabilizzare o a migliorare il reddito reale disponibile delle famiglie, ma le perdite salariali reali negli ultimi due anni e l'irrigidimento delle condizioni finanziarie continuano a contenere la spesa per i consumi nella maggior parte delle economie avanzate, con un'eccezione di rilievo negli Stati Uniti. Continua la stagnazione della produzione industriale in molte economie, malgrado alcuni segnali di ripresa dell'attività legata alle tecnologie.
4. Alcuni indicatori dell'indagine mostrano punti deboli più rilevanti. A livello mondiale, gli indicatori PMI relativi alla produzione e ai nuovi ordinativi nel settore manifatturiero sono regolarmente in linea con la stagnazione o la contrazione nel settore (Figura 2). Gli indicatori del settore dei servizi sono più solidi, ma recentemente hanno mostrato una lieve attenuazione. Inoltre, sono evidenti segnali di crescente divergenza tra i Paesi, considerato che nel mese di agosto alcune economie emergenti, in particolare l'India, hanno registrato un notevole vigore nei PMI, mentre gli Stati Uniti e la Cina hanno mostrato un'attenuazione, e la zona euro e il Regno unito segnali di debolezza. Nell'ultimo anno, anche la graduale ripresa del clima di fiducia dei consumatori ha subito una battuta d'arresto in molti Paesi, accompagnata da un clima di fiducia ancora al di sotto dei livelli normali precedenti la pandemia.
5. L'aumento dei tassi di interesse nella maggior parte delle principali economie dall'inizio del 2022 costituisce un fattore determinante per improntare la crescita mondiale. Le condizioni finanziarie sono diventate più rigide, i tassi passivi per le imprese e le famiglie sono aumentati (Figura 3, Riquadro A), le condizioni di credito si sono irrigidite e la crescita dei prezzi delle attività si è attenuata o è diventata negativa. I tassi di interesse reali forward sono attualmente positivi nella maggior parte delle economie, ad eccezione del Giappone, il che incoraggia i risparmi e rende più costosi gli investimenti. Negli Stati Uniti i tassi di interesse reali hanno raggiunto il livello più elevato dal 2005 (Figura 3, Riquadro B). Sebbene non si attendano ulteriori aumenti dei tassi di policy, gli effetti degli incrementi passati continueranno a farsi sentire nelle economie per un certo periodo di tempo, man mano che saranno adeguati i tassi sui mutui ipotecari esistenti o che saranno rinnovati i prestiti alle imprese. Nella zona euro, caratterizzata da un'economia relativamente dipendente dalle banche, i prestiti bancari alle famiglie, in particolare, hanno subito un brusco rallentamento. Alcuni Paesi stanno già registrando un aumento dei tassi di morosità dei prestiti e delle carte di credito nonché un aumento delle insolvenze delle imprese. Come già osservato con i fallimenti delle banche statunitensi nel mese di marzo e con l'acquisizione di Credit Suisse, permane il rischio che gli elevati tassi di interesse necessari per ridurre l'inflazione possano generare pressioni sul sistema finanziario, il che comporterà la necessità di fornire una tempestiva risposta strategica per stabilizzare le condizioni finanziarie.
6. In alcuni Paesi del G20, tra cui la Corea, la Germania e il Regno Unito, i prezzi delle abitazioni sono diminuiti notevolmente rispetto ai picchi registrati in precedenza, mentre gli investimenti immobiliari hanno subito un forte calo, soprattutto negli Stati Uniti e in Canada. Tuttavia, dai dati degli ultimi mesi iniziano a emergere alcuni segnali di stabilizzazione. I prezzi hanno ripreso a crescere in diversi Paesi, tra cui Stati Uniti, Canada e Australia, sostenuti da fattori strutturali quali la robusta crescita demografica e il limitato stock di immobili destinati alla vendita. Nell'insieme delle principali economie avanzate, permangono i rischi legati al fatto che il calo dei prezzi delle abitazioni spinga le famiglie a frenare notevolmente i consumi o inneschi un'impennata degli inadempimenti dei mutui ipotecari, sebbene per il momento non si siano ancora concretizzati. Allo stesso tempo, nella maggior parte dei Paesi si è registrata una netta riduzione del volume delle operazioni e dei prestiti per l'acquisto di abitazioni (Figura 4), il che lascia presagire la presenza di ulteriori fragilità nei mercati immobiliari. Negli Stati Uniti, nella zona euro e nel Regno Unito tali contrazioni sono paragonabili, in termini percentuali, a quelle osservate all'epoca della crisi finanziaria globale.
7. Nelle economie del G20, i prezzi dell'energia restano considerevoli sia per la crescita che per l'inflazione. I bruschi cali dei prezzi del petrolio, del gas e del carbone dai massimi del 2022 hanno contribuito alla ripresa della crescita e alla diminuzione dell'inflazione nella prima metà del 2023. Tuttavia, le economie dell'OPEC + hanno attuato tagli alla produzione e, con scorte a livelli relativamente bassi, i prezzi del petrolio sono aumentati di oltre il 25 % dalla fine di maggio. In molti Paesi del G20, questa tendenza al rialzo dei corsi petroliferi ha fatto innalzare il contributo dell'energia all'inflazione al consumo.
8. I segnali di rallentamento dell'attività economica cinese destano preoccupazioni data l'importanza del Paese per la crescita mondiale, il commercio e i mercati finanziari. L'elevato debito e la portata della crisi fronteggiata dal settore immobiliare pongono sfide significative. La spesa in consumi ha registrato una lenta ripresa dopo la riapertura, accompagnata da un elevato livello di risparmio precauzionale in assenza di ampie reti di sicurezza sociale, mentre il settore immobiliare rimane molto debole. Recentemente sono state annunciate numerose iniziative politiche a sostegno delle attività, tra cui piccole riduzioni dei tassi di interesse, ma non è ancora chiara la loro efficacia. Il netto calo del prezzo in dollari delle esportazioni cinesi quest'anno ha contribuito a ridurre i prezzi delle importazioni e l'inflazione mondiale, ma il margine per compensare la debole domanda interna con un incremento del volume delle esportazioni potrebbe essere limitato a causa della debole domanda esterna e della ristrutturazione in corso delle catene commerciali e del valore.
L'inflazione complessiva diminuisce, ma l'inflazione di fondo persiste
9. Riflettendo in larga misura la forte diminuzione dei prezzi dell'energia tra la fine del 2022 e il primo semestre del 2023, il calo dell'inflazione complessiva è stato leggermente più marcato del previsto. Permane al contempo un'ampia divergenza dei tassi di inflazione tra le principali economie: l'inflazione complessiva è prossima allo zero in Cina, ma superiore al 50 % in Turchia e al 100 % in Argentina. In quasi tutte le economie del G20 si attesta ben al di sopra degli obiettivi stabiliti dalle banche centrali. Anche l'inflazione di fondo (al netto dell'energia e dei prodotti alimentari) ha iniziato a diminuire, ma a un ritmo più moderato, e in diversi Paesi non è tuttora calata (Figura 5, Riquadro A). L'inflazione dei beni è in costante calo, ma quella dei servizi rimane persistente e, stando a quanto emerge dagli indicatori delle indagini, dovrebbe proseguire in tale direzione (Figura 5, Riquadro B). Questa situazione rispecchia, in parte, l'incidenza dei costi del lavoro nei settori dei servizi, nonché il tempo necessario affinché l'aumento dei prezzi dell'energia avvenuto nel periodo 2021-22 sia interamente trasferito ai prezzi di altri beni e servizi. In alcuni Paesi, in particolare negli Stati Uniti, gli affitti degli alloggi residenziali influiscono notevolmente sull'inflazione al consumo, mentre l'inflazione degli affitti mostra un elevato grado di inerzia.
10. Sebbene i mercati del lavoro restino in linea di massima rigidi nelle economie avanzate, con bassi tassi di disoccupazione e livelli elevati di posti di lavoro vacanti, si osservano segnali di allentamento delle pressioni, con un calo dei tassi di posti vacanti e livelli più bassi di dimissioni. Anche il ritmo degli incrementi salariali è diminuito in molti Paesi. Ciononostante, nella maggior parte dei Paesi la crescita dei salari nominali rimane al di sopra dei tassi attesi in presenza di un'inflazione in linea con l'obiettivo di medio termine delle banche centrali, visti gli andamenti attuali e futuri della produttività. Tuttavia, l'inflazione potrebbe continuare a diminuire malgrado un'inflazione salariale temporaneamente elevata qualora gli accresciuti costi del lavoro fossero assorbiti dai margini di profitto delle imprese.
Proiezioni
Si prevede che la crescita rimanga moderata e l'inflazione rallenti
11. La crescita mondiale dovrebbe diminuire sia quest'anno che il prossimo, rimanendo al di sotto della tendenza durante tutto il periodo considerato. Nella maggior parte delle economie avanzate continuerà a essere frenata dall'inasprimento della politica macroeconomica, necessario per contenere l'inflazione e riportare le finanze pubbliche su un percorso sostenibile. Le tensioni strutturali dell'economia cinese dovrebbero determinare un rallentamento della crescita nel 2023‑24. Si stima che gli effetti completi dell'inasprimento delle politiche nelle economie avanzate stiano iniziando a farsi sentire con un ritardo più lungo di quanto previsto in precedenza. Pertanto, la crescita annua del PIL mondiale dovrebbe rallentare, passando dal 3 % quest'anno al 2,7 % nel 2024 (Tabella 1; Figura 6). L'allentamento delle pressioni sulla domanda dovrebbe contribuire ad attenuare l'inflazione complessiva e quella di fondo nella maggior parte dei Paesi del G20, sostanzialmente in linea con le aspettative precedenti. Visto il rallentamento più marcato in Cina, quest'anno e il prossimo le pressioni inflazionistiche dovrebbero essere deboli.
12. L'economia statunitense si è finora dimostrata inaspettatamente resiliente al forte aumento dei tassi di interesse di policy, con la spesa delle famiglie sostenuta da un calo dei risparmi in eccesso accumulati durante la pandemia. Si prevede che, con la graduale dissoluzione di tali condizioni, gli effetti dell'irrigidimento delle condizioni finanziarie diventino sempre più visibili. Secondo le stime, la crescita del PIL nell'anno civile passerà dal 2,2 % nel 2023 all'1,3 % nel 2024, accompagnata da un rallentamento della crescita che raggiungerà l'1 % circa, ben al di sotto del potenziale. L'attività mostra già segnali di debolezza nella zona euro e nel Regno Unito, risentendo dell'effetto ritardato sui redditi dovuto al forte shock dei prezzi dell'energia nel 2022 e dell'importanza correlata dei finanziamenti bancari in molte economie europee. Secondo le proiezioni, la crescita del PIL nella zona euro nel 2023 e nel 2024 dovrebbe essere rispettivamente dello 0,6 % e dell'1,1 %, mentre per il Regno Unito dovrebbe essere pari allo 0,3 % e allo 0,8 % per gli stessi anni. Il Giappone è l'unica economia avanzata del G20 che finora non ha registrato alcun aumento dei tassi di interesse di policy. Il miglioramento della crescita salariale e la forte esportazione di servizi dovrebbero contribuire a stimolare la crescita del PIL portandola all'1,8 % quest'anno, prima che si riavvicini alla tendenza nel 2024, all'1 %.
13. Tra le economie emergenti del G20, la Cina si contraddistingue principalmente per le sue tensioni cicliche e strutturali. Mentre la maggior parte delle grandi economie emergenti ha seguito le principali economie avanzate nell'aumento dei tassi di interesse, in parte per evitare un deprezzamento indesiderato delle rispettive valute rispetto al dollaro statunitense, la Cina ha allentato la politica monetaria per far fronte al rallentamento della domanda interna. La crescita in Cina sta rallentando nel corso di quest'anno e si prevede che continui in tale direzione nel prossimo anno, dopo la ripresa iniziale osservata all'inizio del 2023 a seguito dalla riapertura del Paese. Al contrario, la crescita del PIL nelle altre principali economie emergenti dell'Asia, India e Indonesia, dovrebbe rimanere relativamente stabile nel 2023 e nel 2024: circa il 6 % per l'India e il 5 % per l'Indonesia. Le prospettive di crescita nel resto delle economie emergenti del G20 sono alquanto differenti, a seconda soprattutto di circostanze nazionali specifiche quali le sfide poste dall'elevata inflazione in Argentina e Turchia e dalle fluttuazioni dei prezzi delle materie prime. In generale, tuttavia, escludendo la Cina, nel 2023 si osserva un modesto miglioramento della crescita nelle economie emergenti del G20.
14. L'inflazione complessiva dei prezzi al consumo è diminuita più rapidamente del previsto nella maggior parte delle economie del G20, grazie all'inversione dell'impennata dei prezzi dell'energia e delle materie prime alimentari verificatasi nel 2022 a seguito dell'invasione russa dell'Ucraina. L'inflazione media del G20 nel 2023 e nel 2024 dovrebbe attestarsi rispettivamente al 6 % e al 4,8 %, in calo rispetto al 7,8 % del 2022 (Tabella 2; Figura 7). Resta tuttavia il fatto che, alla fine del 2024, l'inflazione complessiva dovrebbe ancora essere superiore agli obiettivi a medio termine nella maggior parte delle economie del G20.
15. L'inflazione complessiva nella maggior parte delle economie avanzate del G20 si è quasi dimezzata rispetto ai massimi osservati nel 2022 fino all'ultimo mese. Il Giappone rappresenta un'eccezione, con un deprezzamento di oltre il 20 % dello yen nei confronti del dollaro statunitense dall'inizio del 2022, il che ha generato l'aumento delle pressioni inflazionistiche attraverso i prezzi delle importazioni. L'inflazione complessiva giapponese è rimasta pressoché invariata negli ultimi sei mesi e il tasso medio per il 2023, pari al 3,1 %, dovrebbe essere superiore allo scorso anno, a differenza di tutte le altre economie avanzate del G20. L'inflazione di fondo (al netto dei prezzi dei beni alimentari e dell'energia) non si è ancora ridotta in modo deciso nella maggior parte delle economie avanzate del G20. Considerando queste ultime come gruppo, l'inflazione media annua di fondo nel 2023 dovrebbe essere pari al 4,3 % (Tabella 3), leggermente superiore a quella del 2022 malgrado il profilo decrescente osservato nel corso di quest'anno, per poi scendere al 2,8 % nel 2024, di pari passo con l'allentamento delle pressioni sui costi e il contenimento dei margini di profitto.
16. L'inflazione varia notevolmente tra le economie emergenti del G20. Ciononostante, gli stessi fattori principali che incidono sull'inflazione nelle economie avanzate — il calo dei prezzi dell'energia e dei beni alimentari e l'inasprimento delle politiche in gran parte delle principali economie — incidono anche sulle economie emergenti. Secondo le proiezioni, l'inflazione complessiva dei prezzi al consumo nelle economie emergenti del G20, considerate come gruppo, scenderà dal 9,1 % registrato nel 2022 al 7,2 % nel 2023 e al 6,6 % nel 2024, con un'inflazione al di sotto del 4 % in Brasile, Indonesia e Messico e molto bassa in Cina.
Rischi
17. I rischi che caratterizzano le proiezioni mondiali di breve termine restano orientati verso il basso. Data l'incertezza che circonda la tenuta della politica monetaria e la rapidità della trasmissione dei suoi effetti, e vista la persistenza dell'inflazione, è fondamentale comprendere se l'irrigidimento delle politiche già attuato sia sufficiente a riportare agevolmente l'inflazione verso l'obiettivo. Calibrare la politica monetaria è sempre difficile, ma i fattori che contribuiscono all'attuale episodio inflazionistico complicano ulteriormente il compito, dato che le circostanze eccezionali della pandemia e le misure di contrasto adottate a livello nazionale, unite alle conseguenze economiche della guerra di aggressione della Russia in Ucraina, aumentano la complessità del quadro. Il persistere delle pressioni sui costi o la presenza di nuovi segnali di una tendenza al rialzo delle aspettative di inflazione obbligherebbero le banche centrali a mantenere alti i tassi di policy più a lungo del previsto e potrebbero esporre vulnerabilità finanziarie nei bilanci delle istituzioni finanziarie, innescando in tal modo una brusca rivalutazione dei rischi di liquidità, durata e credito. Al contrario, l'impatto definitivo dei passati aumenti dei tassi di interesse e dell'applicazione di criteri di concessione del credito più restrittivi potrebbe rivelarsi più forte del previsto, portando a un aumento degli oneri per il servizio del debito che determinerebbe un rallentamento più marcato della spesa, un incremento della disoccupazione e delle insolvenze. La presenza di condizioni finanziarie mondiali più rigide del previsto aumenterebbe inoltre le vulnerabilità nelle economie emergenti e in via di sviluppo, in particolare per i mutuatari che dipendono da prestatori esteri, e andrebbe ad aggiungersi al rischio di un'ulteriore volatilità finanziaria ed economica nei Paesi a più basso reddito che si trovano già ad affrontare sfide significative per il finanziamento dei loro debiti.
18. Un rischio correlato è rappresentato dall'eventualità che si riproducano shock negativi sul lato dell'offerta nei mercati mondiali delle materie prime. I prezzi dei beni alimentari e dell'energia incidono considerevolmente sugli indici dei prezzi al consumo di molti Paesi e sono una determinante importante delle aspettative di inflazione delle famiglie. I prezzi dell'energia sono molto lontani dai picchi raggiunti nel 2022 a causa dell'invasione russa dell'Ucraina, ma i mercati dell'energia rimangono tesi e la probabilità che vi siano interruzioni nell'approvvigionamento nei mercati del petrolio, del carbone e del gas rimane elevata (Figura 8). Una nuova impennata dei prezzi dell'energia imprimerebbe un nuovo slancio all'inflazione complessiva e danneggerebbe la crescita nelle economie importatrici di materie prime. Vi è inoltre il rischio che una ripresa dei prezzi dei prodotti alimentari ed eventuali carenze possano compromettere la sicurezza alimentare in diverse economie emergenti e in via di sviluppo. Il fenomeno meteorologico di El Niño, iniziato a giugno, potrebbe avere ripercussioni negative su alcuni raccolti il prossimo anno e le restrizioni all'esportazione imposte da alcuni grandi produttori limitano l'offerta sui mercati mondiali, in particolare per il riso, i cui prezzi a livello globale hanno raggiunto il livello più alto da 15 anni. La guerra in Ucraina potrebbe potenzialmente generare nuove pressioni sui prezzi del frumento, del mais, degli oli commestibili e dei fertilizzanti, tenendo conto anche del fatto che l'iniziativa Black Sea Grain Initiative (Iniziativa sui cereali del Mar Nero) si è conclusa e che persistono le insicurezze relative alla possibilità che l'Ucraina possa utilizzare rotte di approvvigionamento alternative attraverso l'Europa.
19. Il rallentamento più marcato del previsto in Cina pone nuovamente un rischio cruciale. Inoltre, destano forti preoccupazioni la scarsa fiducia dei consumatori e i notevoli problemi che permangono nel mercato immobiliare, visto l'esiguo numero di vendite, che genera carenze di liquidità e rischi di insolvenza per i promotori immobiliari con un elevato tasso di indebitamento. Anche la portata e l'efficacia delle misure di sostegno di compensazione possono essere più limitate rispetto al passato. L'elevato debito pubblico, in particolare per gli strumenti di investimento delle amministrazioni locali, assottiglia il margine di manovra per le iniziative di bilancio su vasta scala e la debolezza del mercato immobiliare intralcia un canale fondamentale per l'allentamento della politica monetaria. Secondo alcuni scenari illustrativi, un calo imprevisto di 3 punti percentuali della crescita della domanda interna cinese rispetto all'anno precedente potrebbe causare direttamente una diminuzione della crescita del PIL mondiale di 0,6 punti percentuali, e potenzialmente di oltre 1 punto percentuale in presenza di un significativo irrigidimento delle condizioni finanziarie mondiali (Riquadro 1).
Riquadro .1. Un brusco rallentamento dell'economia cinese indebolirebbe la crescita mondiale
Alcuni scenari illustrativi, elaborati avvalendosi del modello macroeconomico globale NiGEM, evidenziano le potenziali implicazioni a breve termine di un brusco rallentamento imprevisto della crescita della domanda interna in Cina. Tali scenari ipotizzano un calo del 3 % della domanda interna sullo stesso periodo dell'anno precedente (rispetto allo scenario di base), accompagnato da una diminuzione del consumo delle famiglie dell'1 %, degli investimenti delle imprese del 5 % e degli investimenti nell'edilizia residenziale di quasi l'8 %. Un rallentamento di questo tipo costituirebbe un evento relativamente insolito, sebbene la crescita annuale della domanda interna cinese sia rallentata in misura analoga nel 2014 e nel 2017, con cali ancora più marcati durante la pandemia. I tassi di interesse di policy rimangono endogeni in tutte le economie, contribuendo ad attutire l'impatto degli shock in ciascuno scenario.
Perturbazioni alla domanda interna cinese provocherebbero una diretta diminuzione della crescita del PIL mondiale di 0,6 punti percentuali e dei volumi del commercio mondiale di 1¼ punti percentuali (Figura 9). Il PIL cinese calerebbe del 2 % rispetto allo scenario di base, con una domanda interna più debole parzialmente compensata da volumi minori delle importazioni. La produzione di altre economie asiatiche e di quelle produttrici di materie prime sarebbe colpita abbastanza duramente, in funzione dei rispettivi legami commerciali relativamente forti con la Cina. Anche l'impatto sul commercio in Nord America sarebbe mediamente ampio, mentre le conseguenze per il PIL sarebbero limitate, vista la bassa quota che gli scambi commerciali detengono nell'attività economica degli Stati Uniti.
Se il rallentamento dell'economia cinese fosse accompagnato da un inasprimento delle condizioni finanziarie globali dovuto al riprezzamento del rischio, come si è osservato in alcuni precedenti rallentamenti, l'impatto sarebbe maggiore, soprattutto per le economie avanzate. In uno scenario caratterizzato da una riduzione del 10 % dei prezzi mondiali dei titoli azionari e da premi per il rischio di investimento più elevati, la crescita del PIL mondiale potrebbe ridursi dell'1,1 % nel primo anno in cui si verifica tale shock, e i volumi del commercio mondiale potrebbero diminuire di poco meno del 2¾ percento rispetto allo scenario di base. La combinazione di tali shock avrebbe un effetto deflazionistico, generando una riduzione dell'inflazione mondiale di circa 0,4 punti percentuali entro la fine del primo anno.
20. In un'ottica rialzista, l'economia mondiale e i mercati finanziari si sono finora dimostrati relativamente resilienti all'irrigidimento generalizzato della politica monetaria. È possibile che la crescita globale continui a sorprendere al rialzo con il ritorno dell'inflazione all'obiettivo nelle principali economie senza perturbazioni significative nei mercati del lavoro. Negli Stati Uniti le pressioni salariali si sono già stabilizzate quest'anno, malgrado il protrarsi di una crescita superiore alla tendenza e un lieve aumento della disoccupazione, visto che le imprese hanno finora scelto di trattenere i lavoratori anziché licenziarli. Il mantenimento di questo andamento comporterebbe una crescita migliore del previsto nel 2024, accompagnata da una diminuzione dell'inflazione. Un altro fattore chiave è rappresentato dalla disponibilità delle famiglie a spendere i risparmi in eccesso accumulati durante la pandemia. Vi è una notevole incertezza circa l'entità residua di tali risparmi nelle economie avanzate, nonché relativamente alla volontà dei consumatori di utilizzarli per il consumo. Tuttavia, tali fattori potrebbero costituire una fonte di attività più forte del previsto nei prossimi trimestri, per quanto possano anche prolungare la persistenza dell'inflazione. Tra gli altri rischi al rialzo figurano un'iniziativa politica più forte ed efficace in Cina mirata a invertire il recente rallentamento della domanda interna, o un'ulteriore diminuzione dei prezzi dell'energia laddove la produzione mondiale di petrolio si riprenda dal recente calo. Tale aspetto rappresenterebbe anche una spinta per gli sforzi volti a ridurre l'inflazione.
Requisiti di policy
Politica monetaria
21. Negli ultimi mesi i tassi di interesse di policy sono aumentati ulteriormente nella maggior parte delle economie avanzate, ad eccezione del Giappone, dove l'orientamento di politica monetaria rimane accomodante ma il ritmo degli aumenti dei tassi ha subito un rallentamento. Sono proseguiti anche i tagli ai bilanci delle banche centrali, sulla base di andamenti ben comunicati, il che ha aumentato le pressioni al rialzo sui tassi di interesse a lungo termine. Le valutazioni di merito relative alla politica monetaria sono sempre più finemente calibrate, man mano che l'inflazione complessiva diminuisce e l'impatto dell'incremento dei tassi di interesse si manifesta nei mercati del credito e degli immobili residenziali. I tassi di interesse reali forward a lungo e a breve termine sono attualmente positivi nella zona euro e hanno raggiunto i livelli più elevati dal 2007 negli Stati Uniti, mentre gli effetti dell'inasprimento cumulativo degli ultimi due anni non sono ancora avvertiti.
22. La politica monetaria deve rimanere restrittiva fino a quando non saranno evidenti chiari segnali di una riduzione duratura delle pressioni inflazionistiche sottostanti, accompagnati da un ulteriore alleggerimento delle aspettative di inflazione a breve termine e da un allentamento delle pressioni sulle risorse in eccesso nei mercati del lavoro e dei prodotti. Ciò limiterà probabilmente la portata di eventuali riduzioni dei tassi di policy fino al 2024 nella maggior parte delle economie avanzate (Figura 10). Potrebbero essere necessari ulteriori aumenti dei tassi nei casi in cui le pressioni inflazionistiche sottostanti si rivelino particolarmente persistenti. Tuttavia, sembra che i tassi di policy abbiano raggiunto o siano prossimi al picco nella maggior parte delle economie. In caso di ulteriori tensioni sui mercati finanziari, è opportuno utilizzare appieno gli strumenti di politica finanziaria a disposizione delle banche centrali per aumentare la liquidità e ridurre al minimo i rischi di contagio.
23. Le decisioni politiche dovranno continuare a essere prese in base ai dati ed essere comunicate in modo chiaro, data l'incertezza relativa agli effetti del repentino aumento dei tassi di interesse dopo diversi anni di politica molto accomodante, nonché relativa alla rapidità e ai canali attraverso i quali essi si manifesteranno. La trasmissione della politica monetaria è influenzata dai cambiamenti nella struttura economica – quali la maggiore prevalenza di titoli di debito fissi o semifissi in alcuni mercati immobiliari – e nei mercati finanziari, visto l'accresciuto ruolo delle istituzioni finanziarie non bancarie. Il rapido e simultaneo inasprimento attuato in tutto il mondo rende inoltre il meccanismo di trasmissione più complesso e incerto, soprattutto per le economie aperte più piccole, con una domanda mondiale più debole che diventa un fattore più importante della disinflazione rispetto alle variazioni dei tassi di cambio derivanti dalle azioni di politica interna.
24. Nella maggior parte delle economie emergenti, il margine di manovra della politica monetaria è limitato dalle rigide condizioni finanziarie mondiali e dalla necessità di mantenere ancorate le aspettative di inflazione. Il miglioramento dei quadri di riferimento delle politiche e l'adozione di azioni tempestive hanno rafforzato l'efficacia della politica monetaria in molte delle principali economie e hanno contribuito a evitare, finora, tensioni finanziarie. Tuttavia, in alcuni casi, l'adozione di politiche prudenziali più incisive rafforzerebbe ulteriormente la resilienza e aumenterebbe il margine di manovra della politica monetaria. I tassi di policy sono rimasti invariati per qualche tempo in molte delle principali economie, tra cui India, Indonesia, Messico e Sudafrica, accompagnati da spinte inflazionistiche a livelli moderati. In Brasile e in una serie di economie più piccole, in cui l'inasprimento delle politiche è stato avviato in una fase relativamente precoce, si sono già registrate riduzioni dei tassi. In tutte queste economie vi è margine per un lieve allentamento delle politiche nel corso del prossimo anno, a condizione che le pressioni inflazionistiche restino ben arginate. In contrapposizione, è necessario un ulteriore inasprimento delle politiche in Turchia per far fronte a un'inflazione persistentemente elevata.
Politica di bilancio
25. I governi devono far fronte a crescenti pressioni sui bilanci. I livelli del debito pubblico sono generalmente più elevati rispetto a prima della pandemia (Figura 11, Riquadro A) e in molti Paesi hanno raggiunto valori rispetto al PIL osservati in precedenza solo in tempo di guerra, con un onere del servizio del debito che continua ad aumentare con la scadenza del debito a basso rendimento ed è sostituito da nuove emissioni a più alto rendimento. La transizione climatica, l'impatto dell'invecchiamento della popolazione sulla spesa per la sanità e le pensioni (Figura 11, Riquadro B) e i piani per aumentare la spesa per la difesa (Riquadro 2) si aggiungono alle future pressioni sulla spesa. Le aspettative dei cittadini in merito a interventi di bilancio per contribuire a compensare gli shock economici sono aumentate anche a seguito della pandemia e della crisi energetica. In assenza di aggiustamenti della spesa o di aumenti della tassazione, tutti questi fattori implicherebbero in futuro aumenti significativi del rapporto debito pubblico/PIL.
26. Attraverso maggiori sforzi a breve termine per ricostituire i margini di bilancio e garantire la sostenibilità del debito si potrebbero preservare le scarse risorse a disposizione al fine di soddisfare le prossime priorità politiche e rispondere efficacemente agli shock futuri. In tal modo si migliorerebbe anche l'allineamento a breve termine delle politiche di bilancio e monetarie, riducendo l'onere che grava sulla politica monetaria per ridurre le pressioni sulla domanda e l'inflazione. Molte misure di sostegno fiscale, compresi i restanti regimi di sostegno legati all'energia, devono essere ridimensionate e meglio mirate a coloro che ne hanno maggiormente bisogno, in particolare le famiglie vulnerabili che non sono adeguatamente coperte dai sistemi di protezione sociale esistenti. Il necessario consolidamento non dovrebbe compromettere gli investimenti volti alla promozione delle transizioni verde e digitale o la spesa per altre misure altamente prioritarie mirate a rafforzare la produttività, come l'acquisizione di competenze. La definizione di quadri di bilancio a medio termine rafforzati e credibili, recanti orientamenti chiari sulla spesa e sui piani fiscali futuri, integrati da rivalutazioni della composizione della spesa pubblica, contribuirebbe ad affrontare tali sfide.
27. In molte economie emergenti, la fissazione di regole di bilancio credibili e il disaccoppiamento delle finanze pubbliche dal ciclo delle materie prime rafforzerebbero la stabilizzazione macroeconomica, migliorerebbero l'efficienza della spesa e contribuirebbero ad alleviare le pressioni sul servizio del debito. Maggiori sforzi per rafforzare la riscossione delle entrate, ampliare la base imponibile e ridurre l'onere delle imprese statali consentirebbero di ampliare in modo permanente la copertura dei sistemi di protezione sociale. L'aumento del debito in sofferenza tra i Paesi a basso reddito rende particolarmente urgente l'adozione, da parte dei Paesi e delle istituzioni creditizie, di misure comuni per garantire la sostenibilità dell'onere del debito e attenuare il rischio di gravi battute d'arresto dello sviluppo.
Occorre rilanciare gli sforzi in materia di politica strutturale e riorientare le politiche commerciali
28. Dinanzi ai modesti risultati della crescita globale nel 2023 e nel 2024, al calo a lungo termine dei tassi di crescita potenziale e alle pressanti sfide poste dall'invecchiamento della popolazione, dalla transizione climatica e dalla digitalizzazione, emerge la chiara necessità di riforme strutturali ambiziose che stimolino l'offerta per rilanciare la crescita e migliorarne la qualità. Come sottolineato nella prossima edizione di "Going for Growth", nuovi sforzi volti a ridurre i vincoli sui mercati del lavoro e dei prodotti, rafforzare gli investimenti e la partecipazione della forza lavoro nonché migliorare lo sviluppo delle competenze potenzierebbero le prospettive di produttività, contribuirebbero a un tenore di vita sostenibile e renderebbero la crescita più inclusiva. È altresì essenziale progredire più rapidamente verso la decarbonizzazione. L'aumento degli investimenti nelle infrastrutture verdi e digitali e il sostegno all'innovazione, il rafforzamento delle norme per agevolare una riduzione delle emissioni e l'aumento della portata e del livello della fissazione del prezzo del carbonio costituiscono priorità fondamentali per la maggior parte delle economie.
29. Il rilancio del commercio globale rappresenta un'altra priorità chiave. Da oltre un decennio, l'economia mondiale vive un periodo in cui la crescita degli scambi in termini di volume tiene appena il passo con la crescita del prodotto, mentre l'onere cumulativo delle restrizioni commerciali è aumentato costantemente, soprattutto a partire dal 2018 (Figura 12). Si tratta di un'opportunità persa, in particolare in molti settori dei servizi caratterizzati da notevoli restrizioni agli scambi. In un mondo interconnesso, mercati internazionali aperti e ben funzionanti dotati di catene di approvvigionamento resilienti ed efficienti, inseriti in un sistema commerciale globale basato su regole, costituiscono un'importante fonte di prosperità di lungo termine e crescita della produttività per le economie avanzate ed emergenti.
30. Allo stesso tempo, la pandemia e la guerra in Ucraina hanno messo in luce le vulnerabilità che possono derivare da catene di approvvigionamento sempre più complesse e concentrate, destando preoccupazioni in merito alla sicurezza dell'approvvigionamento. Una sfida fondamentale consiste nel rafforzare la resilienza delle catene globali del valore senza eroderne i benefici in termini di efficienza. La frammentazione geo-economica e il passaggio a politiche commerciali più orientate al mercato interno ridurrebbero i vantaggi derivanti dal commercio mondiale e inciderebbero sul tenore di vita, soprattutto nei Paesi più poveri e delle famiglie più indigenti.
Riquadro .2. Dinamiche passate e previsioni di spesa per la difesa nei Paesi dell'OCSE e del G20
Per diversi decenni, i cosiddetti "dividendi di pace" hanno permesso a molti governi di ridurre la quota della spesa per la difesa nel totale della spesa pubblica, il che ha contribuito a creare uno spazio di manovra per soddisfare le richieste di una maggiore spesa pubblica per la protezione sociale e la salute (Clements et al., 2021). Le crescenti tensioni geopolitiche, messe in luce dalla guerra di aggressione della Russia contro l'Ucraina, hanno recentemente portato a rivalutare in maniera considerevole questa strategia. Diversi Paesi hanno annunciato piani per aumentare la spesa per la difesa nei prossimi anni. Questi progetti, già in corso di attuazione in alcuni Paesi, accentueranno le crescenti pressioni sulla spesa pubblica e sulla sostenibilità delle finanze pubbliche a causa dell'invecchiamento delle società, della transizione climatica e dell'aumento del costo del servizio del debito. Questo riquadro esamina le dinamiche della spesa per la difesa negli ultimi decenni nei Paesi dell'OCSE e del G20 e fornisce una sintesi delle previsioni di aumento della spesa nei prossimi anni. Analizza anche, in breve, il tema dell'efficienza della spesa militare.
Nei Paesi del G20 considerati insieme, la spesa per la difesa, misurata in percentuale del PIL, è diminuita negli ultimi 50 anni, passando da circa il 3,8 % negli anni Settanta al 2,4 % nel XXI secolo (Figura 13). Tuttavia, vi è una forte eterogeneità tra i Paesi, in termini sia di livello di spesa che di variazione nel tempo. Questo calo è stato particolarmente marcato negli Stati Uniti, al primo posto al mondo per spesa in dollari, dal momento che la spesa per la difesa è scesa dal 6,0 % del PIL negli anni Ottanta al 3,9 % del PIL in media dall'inizio del secolo. In termini relativi, i guadagni derivanti dalla fine della guerra fredda sono stati ancora maggiori per gli altri Paesi dell'OCSE membri di lunga data dell'Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO), la cui spesa nel suo complesso è scesa dal 2,8 % del PIL negli anni Ottanta all'1,6 % del PIL dal 2000. Al contrario, la spesa militare dei Paesi membri dell'OCSE non appartenenti alla NATO, come Australia, Giappone e Messico, è stata più bassa e più stabile nel tempo (Figura 14).
I tagli alla spesa sono stati anche più contenuti nelle economie del G20 non appartenenti all'OCSE, che costituiscono un gruppo molto diversificato di Paesi. Ad esempio, la Cina si colloca al secondo posto a livello mondiale per la spesa per la difesa misurata in termini assoluti, ma come percentuale del PIL, si avvicina al valore mediano dei Paesi del G20. Al contrario, dalla metà degli anni Novanta il livello della spesa della Russia in percentuale del PIL è risultato elevato in termini di confronto internazionale, in particolare negli ultimi dieci anni (Figura 13).
Negli ultimi anni, in particolare nel 2022, molti Paesi dell'OCSE hanno aumentato il rapporto tra spesa per la difesa e PIL1. Tale incremento è stato particolarmente rilevante in Grecia e in alcuni Paesi dell'Europa centrale e orientale, come la Finlandia, la Lettonia, la Lituania e la Polonia, ma si è verificato anche in molte economie dell'Europa occidentale, in parte a causa dell'assistenza militare fornita all'Ucraina.
Nei prossimi anni potrebbero verificarsi ulteriori aumenti di spesa, in taluni casi consistenti. Francia, Germania e Giappone hanno iniziato ad attuare piani dettagliati a medio termine a tale scopo, con aumenti compresi tra lo 0,4 % del PIL (per la Francia) e quasi l'1 % del PIL (per il Giappone). In altri Paesi sono stati fissati obiettivi di lungo termine corrispondenti a una maggiore spesa per la difesa (ad esempio 2 % del PIL in Canada e Italia, in linea con gli impegni della NATO, e 2,5 % del PIL nel Regno Unito), ma le autorità non hanno ancora elaborato piani a medio termine per conseguirli. In contrapposizione, i due Paesi dell'OCSE appartenenti al G20 che registrano la maggiore spesa militare in percentuale del PIL, vale a dire gli Stati Uniti e la Corea, non prevedono attualmente di aumentare ulteriormente le loro quote. Nel recente passato i Paesi del G20 non appartenenti all'OCSE non hanno generalmente aumentato la
spesa per la difesa in percentuale del PIL (la Russia costituisce un'eccezione al riguardo), né hanno annunciato l'intenzione di procedere in tale direzione sul medio termine.
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1. Senza considerare il temporaneo incremento generale nel 2020 causato dagli effetti di denominatore dovuti alla pandemia da COVID-19.
Migliorare l'efficienza della spesa per la difesa può contribuire a limitare i costi di bilancio per conseguire l'auspicato potenziamento dell'efficacia militare. La composizione della spesa è uno dei fattori chiave dell'efficienza e varia notevolmente da un Paese all'altro (Figura 15). La quota media dei bilanci per la difesa destinata alle spese per il materiale militare è del 20 % e quella per il personale è del 48 %, mentre il 29 % in media è destinato alla manutenzione e agli equipaggiamenti monouso e il 4 % ad altre voci. In alcuni Paesi si potrebbe attribuire maggiore importanza alla modernizzazione del materiale militare. La spesa per la ricerca e lo sviluppo nel settore militare è attualmente molto bassa nella maggior parte dei Paesi (ad eccezione degli Stati Uniti): un aumento del suo volume potrebbe comportare incrementi di efficienza e avere impatti positivi sulla crescita, nonché effetti di ricaduta sulle attività private di ricerca sviluppo (loannou et al., 2023; Moretti et al. 2021). Una maggiore cooperazione internazionale in ambiti quali gli appalti pubblici e la ricerca e sviluppo potrebbe anche portare a una maggiore efficienza riducendo la frammentazione ed evitando i duplicati, nonché migliorando l'interoperabilità (SEAE, 2022).
Riferimenti bibliografici
Clements, B., S. Gupta e S. Khamidova (2021), "Military Spending in the Post-Pandemic Era", Finance & Development, giugno, pagg. 58-61.
SEAE (2022), "Investire di più e insieme nella difesa dell'Europa", Servizio europeo per l'azione esterna.
Loannou, D., J. Pérez, I. Balteanu, I. Kataryniuk, H. Geeroms, I. Vansteenkiste, P.-F. Weber, M. G. Attinasi, K. Buysse and R. Campos (2023), "The EU’s Open Strategic Autonomy from a central banking perspective. Challenges to the monetary policy landscape from a changing geopolitical environment," Occasional Paper Series 311, Banca centrale europea.
Moretti, E., C. Steinwender and J. Van Reenen (2021), "The Intellectual Spoils of War? Defense R&D, Productivity and International Spillovers", National Bureau of Economic Research Working Paper, N. 26483.
NATO (2023), "Funding NATO", Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico.