La guerra in Ucraina ha generato una grave crisi umanitaria che colpisce milioni di persone. Gli shock economici ad essa associati e il loro impatto sui mercati globali delle materie prime, commerciali e finanziari, avranno altresì un impatto materiale sui risultati economici e sui mezzi di sussistenza. Prima dello scoppio della guerra, le prospettive apparivano ampiamente favorevoli per il periodo 2022-23, con la crescita e l'inflazione che tornavano alla normalità man mano che la pandemia da COVID-19 e i vincoli dal lato dell'offerta diminuivano. L'invasione dell'Ucraina, unitamente alle chiusure delle città e dei porti principali in Cina, dovute alla politica "zero-COVID", ha generato una nuova serie di shock negativi. Nel corso di quest'anno, si prevede un rallentamento secco nella crescita globale del PIL che si attesterà al 3 %, ossia circa 1½ punti percentuali in meno rispetto a quanto previsto nelle Prospettive economiche dell'OCSE del dicembre 2021, e rimarrà entro intervalli similmente modesti nel 2023 (Tabella 1.1). Ciò riflette, in parte, le profonde flessioni dell'economia in Russia e Ucraina; tuttavia, la crescita è destinata ad essere notevolmente più debole del previsto nella maggior parte delle economie, in primis in Europa, dove le proiezioni per il 2023 tengono conto di un embargo alle importazioni di petrolio e carbone dalla Russia. I prezzi delle materie prime sono aumentati fortemente, rispecchiando l'importanza, per numerosi mercati, delle forniture provenienti dalla Russia e dall'Ucraina, innescando ulteriori pressioni inflazionistiche e incidendo negativamente sui redditi reali e la spesa, in particolare per le famiglie più vulnerabili. In numerose economie legate ai mercati emergenti si registrano rischi elevati di scarsità di beni alimentari legati alla dipendenza dalle esportazioni agricole provenienti da Russia e Ucraina. Anche le pressioni sull'offerta si sono intensificate a causa del conflitto, nonché delle chiusure in Cina. Si prevede che l'inflazione dei prezzi al consumo rimanga elevata, con una media di circa il 5½ per cento nelle principali economie avanzate nel 2022 e dell'8½ per cento nell'intera area dell'OCSE, prima di diminuire nel 2023, quando le pressioni sulla catena di approvvigionamento e sui prezzi delle materie prime si affievoliranno e l'impatto di condizioni monetarie più restrittive inizierà a sentirsi. Secondo le previsioni, alla fine del 2023 l'inflazione di fondo, sebbene in discesa, sarà pari o superiore agli obiettivi di medio termine in molte delle maggiori economie.
Il livello di incertezza relativo a tali prospettive è elevato, accompagnato da una serie di notevoli rischi. Gli effetti della guerra in Ucraina potrebbero essere superiori alle stime, ad esempio a causa di una brusca interruzione dei flussi di forniture di gas dalla Russia, di ulteriori aumenti nei prezzi delle materie prime o di maggiori interruzioni delle catene di approvvigionamento globali. Le pressioni inflazionistiche potrebbero altresì rivelarsi più forti del previsto, con il rischio che aspettative di inflazione più elevata si scostino dagli obiettivi della banca centrale e si riflettano in una più rapida crescita dei salari in mercati del lavoro rigidamente regolamentati. Anche bruschi aumenti dei tassi d'interesse ufficiali potrebbero rallentare la crescita a livelli superiori alle stime. I mercati finanziari si sono finora adattati senza difficoltà alle più aspre condizioni finanziarie globali; tuttavia, si registrano significative vulnerabilità potenziali dovute agli elevati livelli di debito e ai prezzi elevati delle attività finanziarie. Permangono le sfide per molte economie di mercato emergenti, dettate dall'aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e dell'energia, la lenta ripresa dalla pandemia, gli elevati livelli di debito e le fughe dei capitali finanziari che potrebbero potenzialmente verificarsi con l'aumento dei tassi di interesse nei Paesi avanzati. Permangono altresì i rischi derivanti dall'evoluzione della pandemia da COVID‑19: potrebbero emergere nuove varianti maggiormente aggressive o contagiose e l'attuazione delle cosiddette politiche "zero-COVID" in grandi economie quali la Cina potrebbe intaccare la domanda globale e continuare a contrarre l'offerta ancora per qualche tempo.
Gli ingenti costi economici della guerra, l'incertezza elevata e l'imminente embargo sulle importazioni di carbone e sulle importazioni di petrolio per via marittima, dalla Russia verso l'Europa, si aggiungono alle sfide che già si impongono ai decisori politici in relazione alle crescenti pressioni inflazionistiche e a livelli disomogenei di ripresa dalla pandemia.
Dinanzi a uno shock negativo dell'offerta causato dall'aumento dei prezzi delle materie prime – di durata e portata incerte – la politica monetaria dovrebbe continuare a concentrarsi sull'obiettivo di garantire aspettative di inflazione ben ancorate. A tal fine, nelle principali economie avanzate occorre assicurare una risposta differenziata in linea con il singolo Paese interessato. Il perseguimento di un ritorno alla normalità relativamente veloce è decisamente giustificato per economie quali Stati Uniti, Canada e di molti Paesi europei di dimensioni più piccole, dove la ripresa postpandemica della domanda si attesta a livelli ben avanzati e le pressioni inflazionistiche su larga scala erano evidenti già prima della recente impennata dei prezzi delle materie prime. Rimuovere le misure accomodanti in misura più graduale è indicato nelle economie in cui l'inflazione di base è più bassa, le pressioni salariali restano moderate e l'impatto del conflitto e del futuro embargo sulla crescita è elevatissimo. In numerose economie dei mercati emergenti sarà probabilmente necessario prevedere ulteriori aumenti nei tassi di interesse ufficiali per contribuire all'ancoraggio delle aspettative di inflazione ed evitare di destabilizzare i flussi in uscita dei capitali.
Misure fiscali temporanee, tempestive e ben mirate, ove possibile, costituiscono la migliore opzione di politica per attutire l'impatto immediato degli shock dei prezzi delle materie prime e dei prodotti alimentari sulle famiglie e sulle aziende vulnerabili e fornire sostegno ai rifugiati di guerra. Molti Paesi hanno opportunamente rallentato i ritmi di attuazione dei piani di graduale consolidamento fiscale all'indomani della pandemia, almeno fino al 2023; tuttavia, il consolidamento non dovrà tardare laddove l'inflazione rispecchi chiaramente le pressioni della domanda. Nel medio e lungo termine, il conflitto in Ucraina sta generando nuove priorità fiscali, tra cui un'accelerazione di investimenti in energia pulita e maggiori spese per la difesa, rafforzando la necessità di una profonda nuova valutazione della composizione delle finanze pubbliche. Quadri fiscali attendibili con forte credibilità nazionale possono contribuire a fornire una guida chiara sulla traiettoria a medio termine delle finanze pubbliche e mitigare le preoccupazioni legate alla sostenibilità del debito.
La pandemia e la guerra in Ucraina hanno messo a nudo molte debolezze strutturali di lunga data, che sono state avvertite in maniera difforme da famiglie, imprese e Paesi. È necessario assicurare riforme efficaci e ben mirate per accrescere la resilienza, rilanciare la crescita della produttività, affrontare le persistenti disuguaglianze e accelerare la riduzione delle emissioni di carbonio. Occorre portare avanti le iniziative di cooperazione internazionale per migliorare le prospettive di una crescita sostenibile ed equa a lungo termine, mantenendo i mercati aperti agli scambi, aiutando i Paesi in via di sviluppo a superare la pandemia da COVID-19 e ridurre gli oneri rappresentati dal debito, e consentendo l'attuazione di azioni collettive più ambiziose ed efficaci in materia di cambiamento climatico.
La guerra ha sottolineato la vulnerabilità della sicurezza energetica e alimentare, alla luce della dipendenza di molti Paesi dalle esportazioni provenienti dalla Russia o dall'Ucraina. Alcuni Paesi possono pervenire con relativa rapidità a una sostanziale, seppur non completa, diversificazione delle fonti energetiche, come evidenziato dai piani predisposti dall'Agenzia Internazionale per l'Energia (AIE) in materia di importazioni di petrolio e gas. Fornire incentivi normativi e fiscali per il passaggio a fonti energetiche alternative e investire nell'innovazione e nelle infrastrutture rappresentano entrambi azioni decisive per contribuire a sviluppare una fornitura di energia pulita e stimolare il raggiungimento degli obiettivi di efficienza energetica. Nell'ambito dei recenti piani di investimento pubblico sono stati compiuti alcuni progressi in tale direzione, ma occorre fare di più per tenere fede agli impegni assunti in occasione della COP26. Anche la sicurezza alimentare rappresenta una preoccupazione più pressante, considerato il serio rischio di crisi economiche in alcune economie in via di sviluppo e il forte aumento di povertà e carestie. Per controllare e mitigare tali rischi, tutti i Paesi devono fornire l'assistenza necessaria per agevolare la semina di nuove colture, anche in Ucraina, fare fronte alle barriere logistiche che limitano la fornitura di cibo ai Paesi maggiormente a rischio, e astenersi da restrizioni alle esportazioni di cibo e altri prodotti agricoli.