Gabriele Ciminelli
Cyrille Schwellnus
Gabriele Ciminelli
Cyrille Schwellnus
L'Italia si è impegnata a ridurre del 55 %, rispetto al 1990, le sue emissioni di gas serra entro il 2030 e a raggiungere il saldo netto delle emissioni pari a zero entro il 2050. Il raggiungimento di tali obiettivi richiede un rafforzamento significativo delle politiche di decarbonizzazione attualmente applicate. La piena attuazione dei piani volti a rendere i prezzi effettivi del carbonio meno diversificati tra i vari settori, ad esempio assicurando un maggiore allineamento tra le accise applicate sui combustibili fossili e il loro contenuto in termini di emissioni generate, favorirebbe il processo di abbattimento delle emissioni di carbonio laddove i costi sono più contenuti. Al fine di incrementare la produzione di elettricità da fonti rinnovabili, è necessario snellire ulteriormente gli iter autorizzativi in vigore, in particolare individuando le aree idonee ad ospitare gli impianti alimentati da fonti rinnovabili e innalzando i massimali di capacità per l'ottenimento di procedure abilitative semplificate. Iniziative volte a potenziare i settori del trasporto pubblico e delle reti ferroviarie regionali, ridurre il numero di veicoli altamente inquinanti e allineare le tasse imposte sulle autovetture al livello di emissioni da esse prodotte contribuirebbe a favorire il processo di decarbonizzazione del comparto dei trasporti. Nel settore dell'edilizia, i regimi di credito di imposta che sono stati oggetto di recente riforma dovrebbero essere corredati da finanziamenti agevolati e sovvenzioni volte a promuovere misure di riqualificazione energetica, in primis per le famiglie a basso reddito. Parallelamente al rafforzamento delle politiche di decarbonizzazione, l'Italia deve potenziare le politiche di adattamento ai cambiamenti climatici, primariamente in termini di mitigazione dei rischi derivanti da inondazioni e alluvioni, frane e caldo estremo.
L'Italia è impegnata nel processo di decarbonizzazione della sua economia, e il suo Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) prevede molteplici riforme strutturali di ampio respiro e investimenti orientati al raggiungimento di tale obiettivo. Tuttavia, come in molti altri Paesi, la realizzazione dei processi di transizione energetica e climatica costituisce una sfida importante e non può prescindere dall'attivazione di ulteriori azioni politiche concrete. Sebbene l'Italia abbia realizzato una considerevole riduzione dei livelli di emissione di gas serra negli ultimi due decenni, nel corso degli ultimi anni ha altresì registrato un rallentamento dei progressi conseguiti. Il processo di elettrificazione dell'economia e il passaggio alle energie rinnovabili per la produzione di elettricità richiedono ora un'accelerazione sostanziale. È inoltre necessario assicurare importanti sforzi atti a limitare le emissioni derivanti dai settori dell'edilizia e dei trasporti, anche attraverso una riduzione dei consumi energetici. Nel complesso, la transizione produrrà effetti limitati sul PIL nel lungo periodo, ma richiederà ingenti investimenti e genererà un impatto fiscale significativo. La transizione implicherà uno spostamento su larga scala dell'occupazione tra i diversi settori, richiedendo al Governo l'attuazione di politiche volte ad agevolare tale trasformazione strutturale e a tutelare le famiglie vulnerabili. Al contempo, l'Italia beneficerà di un livello inferiore di dipendenza dalle importazioni di energia e di una migliore qualità atmosferica. L'Italia è più esposta di molti altri Paesi a eventi meteorologici estremi e deve rafforzare il suo quadro di adattamento ai cambiamenti climatici.
Negli ultimi due decenni, l'Italia ha compiuto notevoli passi in avanti in termini di abbattimento delle emissioni di gas serra; tuttavia, nel corso degli ultimi anni tali progressi hanno subito un certo rallentamento. Nel 2021 le emissioni legate a tutti i settori dell'economia italiana hanno registrato un decremento pari a circa il 30 % rispetto al picco rilevato nel 2007 (Figura 2.1, Grafico A). Il decremento delle emissioni è stato marcato nel periodo 2007-2014, grazie a una notevole riduzione dell'intensità delle emissioni in rapporto al PIL, favorita dal processo di crescita negativa di quest'ultimo. Dal 2014 si registra, invece, un notevole rallentamento dei progressi compiuti in termini di riduzione delle emissioni, che nel 2021 erano solo marginalmente inferiori a quelle rilevate nel 2014. Un tale rallentamento è riconducibile in parte alla ripresa economica, ma anche all'indebolimento dei progressi in termini di riduzione dell'intensità delle emissioni in rapporto al PIL (Figura 2.1, Grafico B). Tra i settori caratterizzati da maggiori emissioni occorre rilevare che i comparti della produzione di energia elettrica e dell'industria manifatturiera e delle costruzioni vantano i livelli maggiori di riduzione delle emissioni da essi prodotte. Minore è stata invece la riduzione delle emissioni generate da edifici e trasporti (Figura 2.2, Grafico A). Attualmente circa il 20-25 % delle emissioni derivano dai settori dei trasporti, della produzione di energia elettrica, dell'industria manifatturiera e delle costruzioni, nonché dagli edifici stessi (Figura 2.2, Grafico B).
L'Italia si è posta l'obiettivo di ridurre del 55 %, rispetto al 1990, le emissioni legate a tutti i settori della sua economia entro il 2030 e di pervenire al saldo netto delle emissioni pari a zero entro il 2050. Inoltre, il Regolamento UE sulla condivisione degli sforzi stabilisce un obiettivo giuridicamente vincolante per l'Italia di ridurre del 44 %, rispetto al 2005, i gas serra emessi da settori specifici (trasporti stradali, edifici, agricoltura, gestione dei rifiuti e industrie non energivore) entro il 2030. Le emissioni derivanti dalle industrie ad alta intensità energetica, nonché del settore energetico e dell'aviazione non sono coperte dal Regolamento UE sulla condivisione degli sforzi, in quanto sono regolate dal Sistema per lo scambio di quote di emissione di gas a effetto serra dell'UE (European Union Emissions Trading Scheme – EU ETS), che stabilisce un obiettivo a livello europeo ma non specifico per singolo Paese. Il Regolamento UE sull'uso del suolo, sul cambiamento di uso del suolo e sulla silvicoltura stabilisce l'obiettivo giuridicamente vincolante per l'Italia di incrementare il livello di rimozione delle emissioni dell'1 % attraverso l'uso del suolo nel periodo compreso tra il 2005 e il 2030.
Il divario rilevato tra il contenimento del livello di emissione di gas serra realizzato nel 2021 e gli obiettivi fissati per il 2030 rivela la necessità di assicurare una forte accelerazione del processo di riduzione delle emissioni (Energy&Strategy, 2023). Le emissioni legate a tutti i settori dell'economia italiana sono diminuite del 25 % nel periodo 1990-2021, a fronte di un obiettivo del 55 % per il periodo 1990-2030, mentre le emissioni derivanti dai settori coperti dal Regolamento UE sulla condivisione degli sforzi sono diminuite del 20 % nel periodo 2005-2021, a fronte di un obiettivo del 44 % per il periodo 2005-2030. Proiettando il PIL italiano al 2030 sulla base degli scenari di lungo termine dell'OCSE si evince che, per raggiungere i suoi obiettivi di decarbonizzazione (Figura 2.1, Grafico B) negli anni che ci separano dal 2030, l'Italia dovrebbe ridurre l'intensità delle sue emissioni in rapporto al PIL a un ritmo più che quintuplicato rispetto a quello rilevato nel periodo 2014-2021.
I combustibili fossili rappresentano circa i tre quarti dell'approvvigionamento energetico italiano e la quasi totalità del consumo di combustibili fossili è coperta dalle importazioni (Figura 2.3). Il gas naturale rappresenta la principale fonte energetica dell'Italia, costituendo oltre il 40 % dell'approvvigionamento energetico totale. Sebbene la Russia fosse la principale fonte di importazione di gas naturale prima della guerra contro l'Ucraina, alla fine del 2022 l'Italia ha ridotto le importazioni di gas russo a circa il 15 % delle importazioni complessive di gas, con l'obiettivo di fermarle del tutto entro la fine del 2023. Il petrolio rappresenta la seconda fonte energetica, mentre il carbone detiene una quota relativamente ridotta. Le fonti di energia rinnovabili costituiscono circa il 20 % dell'approvvigionamento energetico complessivo. I biocarburanti (inclusa la biomassa solida) rappresentano le principali fonti di energia rinnovabile in Italia, mentre i settori dell'energia solare ed eolica detengono una quota ancora esigua. Le importazioni di elettricità costituiscono il 2 % dell'approvvigionamento energetico complessivo. L'Italia non produce elettricità da fonti nucleari.
Il processo di decarbonizzazione dell'economia richiede un mix intelligente di incentivi finanziari, norme, regolamenti e miglioramenti infrastrutturali. L'aliquota di tassazione applicata alle emissioni di gas serra derivanti dall'uso di combustibili fossili in Italia è mediamente elevata; tuttavia, la marcata eterogeneità di tale aliquota tra i diversi settori determina sforzi non ottimali in termini di riduzione delle emissioni. L'allineamento dei prezzi effettivi del carbonio tra i diversi settori, come previsto dalla riforma fiscale attualmente in corso, promuoverebbe la riduzione delle emissioni laddove è meno onerosa. Assicurare il processo di elettrificazione dell'economia italiana, garantendo che l'elettricità sia prodotta da fonti energetiche verdi, sarà determinante per ridurre l'utilizzo di combustibili fossili. A tal fine, sarà essenziale portare avanti il processo di snellimento dei complessi iter autorizzativi italiani previsti per i progetti legati alle energie rinnovabili. Nel corso degli ultimi anni, infatti, tali procedure complesse hanno rallentato la diffusione dell'elettricità da fonte solare ed eolica, la modernizzazione della rete di trasmissione dell'elettricità, nonché lo sviluppo di infrastrutture per lo stoccaggio dell'elettricità. Nel settore dei trasporti, il potenziamento delle infrastrutture contribuirebbe a offrire alternative al trasporto stradale e aereo, mentre la riforma delle tasse e degli incentivi relativi all'acquisto favorirebbe la circolazione di veicoli a zero emissioni, che attualmente registrano scarsi livelli di diffusione. Per ciò che attiene al comparto dell'edilizia italiana, nel quale il terzo più inefficiente del patrimonio dovrebbe essere sottoposto a profondi interventi di riqualificazione energetica (cosiddetto "retrofitting") entro il 2033, qualora venisse approvata la proposta di revisione della Direttiva UE sulla prestazione energetica dell'edilizia, sarà importante definire politiche complementari che incoraggino la riqualificazione in maniera, rispettivamente, sostenibile per le finanze pubbliche ed equa per i nuclei familiari. Nel settore industriale, il previsto inasprimento del Sistema per lo scambio di quote di emissione di gas a effetto serra dell'UE (ETS) dovrebbe continuare a garantire forti incentivi alla decarbonizzazione.
Realizzare la transizione produrrà co-benefici significativi in termini di riduzione della dipendenza energetica e di miglioramento del benessere. La dipendenza dell'Italia dalle importazioni di combustibili fossili la espone a shock esterni e rischi di instabilità. Raddoppiando, nell'ambito dell'approvvigionamento energetico complessivo, la quota di energia rinnovabile prodotta a livello nazionale, in linea con l'obiettivo stabilito per il 2030, l'Italia potrebbe ridurre la sua dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili per il suo approvvigionamento energetico, passando da un livello superiore al 70 % nel 2021 a meno del 60 % nel 2030 (MASE, 2023). Ciò rafforzerà la sicurezza energetica italiana e migliorerà il saldo delle partite correnti, che nel 2021 registrava un deficit pari a circa il 2,5 % del PIL in prodotti energetici. L'Italia è esposta a un forte inquinamento atmosferico derivante dall'utilizzo di combustibili fossili, in particolare nelle regioni settentrionali del Paese, le cui specifiche condizioni climatiche e atmosferiche ostacolano la dispersione degli agenti inquinanti. Il fenomeno si traduce in un'elevata percentuale di morti premature e ricoveri ospedalieri (Figura 2.4), con un costo totale annuo (ivi incluso in termini di assistenza sanitaria) dell'esposizione al solo particolato fine (PM2,5) stimato al 5 % del PIL nel 2019 (World Bank, 2022). La riduzione dell'uso dei combustibili fossili contribuirà in misura significativa ad accrescere il benessere in Italia e a ridurne i costi dell'assistenza sanitaria.
Per realizzare la transizione energetica è necessario anche assicurare un adattamento ai cambiamenti climatici. L'Italia è più esposta di altri Paesi a una maggiore frequenza di eventi meteorologici estremi derivanti dai cambiamenti climatici. Gli eventi meteorologici estremi danneggiano l'economia e possono causare la perdita di vite umane. Misure di adattamento concrete dovranno dare priorità agli interventi volti a gestire i rischi idrogeologici e a migliorare la resilienza alle ondate di caldo, anche potenziando i sistemi di raccolta e stoccaggio delle acque.
Le politiche attualmente applicate sottolineano l'impegno del Governo ad accelerare il processo di transizione energetica e climatica; esse, tuttavia, potrebbero rivelarsi non sufficienti ad assicurare il raggiungimento di alcuni degli ambiziosi obiettivi di riduzione delle emissioni perseguiti dall'Italia (Tabella 2.1). Il Piano Nazionale Integrato per l'Energia e il Clima (PNIEC), oggetto di recenti aggiornamenti (Riquadro 2.1), definisce la strategia di breve periodo per l'abbattimento delle emissioni inquinanti. Il PNIEC prevede una riduzione delle emissioni inquinanti pari, rispettivamente, al 47 % per tutti i settori dell'economia e al 35-37 % nei settori coperti dal Regolamento UE sulla condivisione degli sforzi nel periodo 2005-2030, in linea con le politiche programmate. La riduzione delle emissioni implica un'accelerazione significativa rispetto ai livelli di abbattimento registrati nel corso degli ultimi anni e in rapporto a quanto si possa ottenere attuando le politiche attualmente in essere. In linea di principio, ove non riuscisse a raggiungere gli obiettivi perseguiti, l'Italia potrebbe acquistare le quote di emissioni assegnate dall'UE ad altri Stati membri che hanno superato i livelli previsti dai loro obiettivi di riduzione delle emissioni, sebbene tale scelta sarebbe onerosa dal punto di vista fiscale e dovrebbe essere considerata un'opzione di ultima istanza. Pertanto, è necessario assicurare uno sforzo in termini di policy ancor più ambizioso di quello attualmente previsto, altresì per incrementare il livello di diffusione delle energie da fonti rinnovabili, migliorare il grado di efficienza energetica e incrementare ulteriormente l'azione di elettrificazione dell'economia.
Il Piano Nazionale Integrato per l'Energia e il Clima (PNIEC) costituisce il principale documento strategico che guida il processo di transizione dell'Italia. Introdotto nel 2019 per condurre le politiche di settore fino al 2030, è attualmente in fase di aggiornamento a seguito dell'adozione della Legge europea sul Clima nel 2021. Nel giugno 2023, il Governo italiano ha trasmesso alla Commissione europea una prima bozza dell'aggiornamento del PNIEC. La versione finale è attesa per giugno 2024.
Oltre al PNIEC, l'Italia si avvale di altri due documenti strategici volti alla mitigazione dei cambiamenti climatici. Si tratta del Piano Nazionale per la Transizione Ecologica (che afferma che l'Italia mira a ridurre del 55 %, rispetto al 1990, le sue emissioni entro il 2030 e a conseguire la neutralità carbonica entro il 2050), e della Strategia nazionale di lungo termine sulla riduzione delle emissioni di gas serra (che traccia i percorsi possibili per realizzare la neutralità carbonica entro il 2050). Solo il PNIEC è giuridicamente vincolante.
La Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (SNAC) descrive la visione generale per affrontare gli impatti derivanti dei cambiamenti climatici. Un quadro più concreto è delineato nell'ambito del Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC), recentemente ultimato ma non ancora approvato.
Il Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE) sovrintende alle politiche energetiche, climatiche e ambientali italiane, definendone i principi e gli indirizzi principali. Diversi altri ministeri detengono competenze in materia di clima, mentre le regioni dispongono di poteri legislativi concorrenti con il Governo centrale su questioni quali l'energia, i trasporti e il "governo del territorio". Anche i Comuni esercitano funzioni attuative rilevanti.
Il sistema informativo italiano in materia di energia coinvolge diverse istituzioni coordinate dal Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica, mentre l'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) è un ente di diritto pubblico con capacità tecniche di inventario e stima delle emissioni. È inoltre responsabile del monitoraggio in materia di cambiamenti climatici e rischio idrogeologico.
Variazione nei livelli di emissione di gas serra, dati effettivi 2005-2021 e obiettivi per il periodo 2005-2030
Variazione 2005-2021 |
Variazione 2005-2030 |
|||
---|---|---|---|---|
Politiche 2021 |
Politiche previste dal PNIEC |
Obiettivo1 |
||
Tutti i settori dell'economia |
-30 % |
-40 % |
-47 % |
-55 % |
Settori ESR |
-17 % |
-29 % |
-35 -3 7% |
-44 % |
Settori ETS |
-47 % |
-55 % |
-62 % |
-62 % |
Rimozione secondo LULUCF |
-23 % |
-2 % |
-2 % |
+1 % |
Nota: 1 l'obiettivo a livello economico si riferisce al periodo 1990-2030 e non è giuridicamente vincolante; l'obiettivo per i settori ETS è a livello UE; gli obiettivi per i settori ESR e per la rimozione delle emissioni LULUCF sono obiettivi giuridicamente vincolanti imposti dall'UE; ESR indica il Regolamento UE sulla condivisione degli sforzi; ETS indica il Sistema per lo scambio di quote di emissione di gas a effetto serra dell'UE; LULUCF indica l'uso del suolo, i cambiamenti di uso del suolo e la silvicoltura.
Fonte: MASE (2023) ed elaborazioni a cura dell'OCSE.
La diffusione dell'energia da fonti rinnovabili è rimasta sostanzialmente stabile nel periodo 2013-2021 (Figura 2.5), sebbene abbia registrato una certa ripresa nel corso dell'ultimo biennio e si preveda un'ulteriore accelerazione nell'ambito dei provvedimenti contemplati dal PNIEC, che presume che, rispetto al 2021, il consumo di energia da fonti rinnovabili aumenti del 70 % entro il 2030. Insieme a una riduzione del consumo energetico complessivo, ciò raddoppierebbe la quota di energia rinnovabile nella fornitura totale di energia, consentendo all'Italia di raggiungere i suoi obiettivi in materia di energia da fonti rinnovabili (Tabella 2.2). Una buona parte dell'aumento di tale energia dovrebbe derivare dall'utilizzo di elettricità da fonti rinnovabili. Anche il biometano e i biocarburanti dovrebbero fornire un contributo importante, soprattutto nei settori termico e dei trasporti. Sebbene tali combustibili soddisfino i criteri previsti in termini di energia rinnovabile, la loro produzione richiede materie prime e determina l'emissione di inquinanti atmosferici a livello locale.
Quota di energia rinnovabile nel consumo finale lordo di energia, situazione al 2021 e obiettivi al 2030
2021 |
2030 |
|||
---|---|---|---|---|
Politiche 2021 |
Politiche previste dal PNIEC |
Obiettivo1 |
||
Economia complessiva |
19 % |
27 % |
40 % |
39 % |
Generazione di elettricità |
36 % |
49 % |
65 % |
/ |
Riscaldamento e raffreddamento |
20 % |
27 % |
37 % |
30-39 % |
Trasporti |
8 % |
13 % |
31 % |
29 % |
Nota: 1 gli obiettivi per il riscaldamento e il raffreddamento e per i trasporti sono giuridicamente vincolanti. Le quote sono calcolate secondo le norme contabili applicate da Eurostat.
Fonte: MASE (2023).
Le politiche previste dal Piano Nazionale Integrato per l'Energia e il Clima (PNIEC) implicano che debba essere garantito un ritmo più che doppio rispetto a quello dei risparmi energetici conseguiti negli ultimi anni (Tabella 2.3). Si prevede che la fornitura totale di energia diminuisca di oltre un quarto nel periodo 2005-2030, rispetto a circa un quinto sulla base delle politiche attualmente applicate. Si tratta di un risultato molto ambizioso e tuttavia inferiore all'obiettivo vincolante previsto dall'Unione europea per la riduzione delle emissioni di circa un terzo, il che sottolinea la necessità di compiere ulteriori sforzi. Secondo le proiezioni, il consumo di combustibili fossili dovrebbe pressoché dimezzarsi nel periodo 2021-2030. Ciononostante, nel 2030 il gas naturale rappresenterà ancora il combustibile che alimenterà un terzo dei consumi di energia primaria.
Variazioni nei consumi energetici, dati effettivi 2005-2021 e obiettivi 2005-2030
Variazione 2005-2021 |
Variazione 2005-2030 |
|||
---|---|---|---|---|
Politiche 2021 |
Politiche previste dal PNIEC |
Obiettivo1 |
||
Consumo di energia primaria |
-13 % |
-28 % |
-33 % |
-36 % |
Consumo di energia finale |
-12 % |
-21 % |
-27 % |
-31 % |
Nota: 1 obiettivi giuridicamente vincolanti, calcolati secondo le formule riportate nell'Allegato I della Direttiva III dell'UE in materia di efficienza energetica.
Fonte: MASE (2023) ed elaborazioni a cura dell'OCSE.
L'elettrificazione degli usi finali e l'aumento della quota di elettricità generata da fonti rinnovabili consentono all'Italia di compiere progressi significativi in termini di decarbonizzazione della sua economia. Il PNIEC prevede un certo aumento dei consumi di elettricità e stima che la sua quota nel consumo di energia finale cresca di circa 5 punti percentuali nel periodo 2021-2030. Sebbene richieda un'accelerazione del processo di elettrificazione dell'economia rispetto all'ultimo decennio, il raggiungimento di tale risultato risulta essere inferiore all'aumento di 7 punti percentuali che Terna, il gestore della rete nazionale di trasmissione dell'energia elettrica, stima essere necessario per il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione fissati per il 2030 (Terna; Snam, 2022). L'elettrificazione del settore industriale, aumentata in misura significativa nel periodo 2005-2021 (Figura 2.6), è destinata a crescere ulteriormente. Si prefigura un certo incremento anche nel comparto dell'edilizia, mentre la diffusione dell'elettricità nel settore dei trasporti dovrebbe rimanere relativamente contenuta. Il PNIEC prevede che la quota di energia rinnovabile nella produzione di elettricità raddoppi rispetto al livello raggiunto nel 2021, attestandosi al 65 % entro il 2030. Ciò implica una significativa ripresa della diffusione delle energie rinnovabili – che si è sostanzialmente arrestata nel periodo 2013-2021 a causa della complessità degli iter autorizzativi che ad oggi sono stati snelliti – ed è pienamente conforme ai requisiti imposti dall'Unione europea. Tuttavia, la quota di rinnovabili nella produzione di energia elettrica prevista per il 2030 è inferiore ai livelli previsti dai piani introdotti da altri Paesi membri dell'UE, tra cui la Spagna, che punta, infatti, a una quota dell'80 % (Ministerio de la Transición Ecológica y el Reto Démógrafico, 2023).
Per assicurare il raggiungimento degli obiettivi perseguiti dall'Italia in materia di energia ed emissioni per il 2030, il PNIEC stima un fabbisogno totale di investimenti pubblici e privati pari a circa il 5 % del PIL su base annuale da oggi al 2030 (MASE, 2023) e ritiene che gli sforzi dovranno proseguire anche negli anni successivi. Nell'ambito di tali investimenti, il 65 % circa di essi è volto ad assicurare la sostituzione del parco auto italiano, circa il 20 % alla riqualificazione energetica degli edifici, e circa il 10 % alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.
Al fine di assicurare l'intero processo di transizione energetica e climatica nel periodo 2021-2026, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) italiano prevede una spesa pubblica che ammonta a circa 85 miliardi di EUR, pari a quasi il 5 % del PIL annuo. Gli investimenti nella produzione di energia rinnovabile, nello sviluppo dell'idrogeno, e nella diffusione di veicoli a zero emissioni e di stazioni di ricarica elettrica rappresentano la quota primaria del programma. I crediti di imposta e i contributi a fondo perduto atti a sostenere gli investimenti in materia di efficienza energetica degli edifici pubblici e privati costituiscono un'altra componente rilevante. Congiuntamente, i due pilastri possono consentire di ridurre di circa l'1 % le emissioni annue generate da tutti i settori dell'economia (Accetturo e Alpino, 2023), di cui probabilmente stimoleranno anche la crescita. Il PNRR prevede, inoltre, ingenti investimenti per sviluppare ulteriormente la rete ferroviaria, con una riduzione delle emissioni prevista pari allo 0,5 % circa delle emissioni generate annualmente dall'Italia (Accetturo e Alpino, 2023). Ulteriori investimenti sono volti al rafforzamento delle infrastrutture elettriche e idriche, alla promozione dell'agricoltura sostenibile e dell'economia circolare, nonché all'adattamento ai cambiamenti climatici.
La Commissione europea ha recentemente approvato la proposta del Governo italiano volta a emendare il PNRR dell'Italia e dotarlo di un nuovo Capitolo REPowerEU. Il Capitolo, ulteriormente ampliabile, prevede riforme e importi di spesa pubblica pari ad oltre l'1 % del PIL. Le riforme sono atte a semplificare maggiormente i complessi iter autorizzativi attualmente in vigore nel Paese per la produzione di energia rinnovabile, ridurre i cosiddetti "sussidi ambientalmente dannosi" (Environmentally Harmful Subsidies) e migliorare le competenze verdi dei dipendenti sia nel settore pubblico che in quello privato. La spesa pubblica a valere sul suddetto Capitolo sarà in gran parte finanziata attraverso il trasferimento di alcuni investimenti previsti dal PNRR all'ambito di applicazione dei Fondi Strutturali e di Investimento Europei (SIE) e include progetti atti a migliorare le infrastrutture di rete (trasporto di elettricità e gas), potenziare la produzione di energia rinnovabile, e rafforzare le catene del valore delle materie prime critiche, in particolare nei settori agroalimentare e tecnologico a zero emissioni. Il Capitolo finanzia altresì crediti d'imposta volti ad accrescere l'efficienza energetica degli edifici e incentivare la realizzazione di investimenti verdi ad opera delle imprese.
Per raggiungere l'obiettivo di neutralità carbonica entro il 2050, la Strategia nazionale di lungo termine sulla riduzione delle emissioni di gas serra dell'Italia accorda priorità all'ulteriore riduzione dei consumi energetici e all'elettrificazione dell'economia italiana. Tuttavia, sebbene vi sia il potenziale per eliminare del tutto le emissioni derivanti dalla produzione di elettricità e per elettrificare in larga misura l'industria leggera, sarà necessario ricorrere ai combustibili alternativi (compresi l'idrogeno e i carburanti sintetici noti come e-fuel, prodotti da fonti rinnovabili) nel comparto dei trasporti e in alcuni settori industriali per i quali non sia realizzabile un processo di completa elettrificazione. Secondo gli orientamenti forniti dal Governo, l'idrogeno potrebbe rappresentare il 20 % del consumo di energia finale entro il 2050 (MIMIT, 2020), e il PNRR italiano finanzia progetti specifici sull'idrogeno per un valore pari allo 0,2 % del PIL. La cattura e lo stoccaggio del carbonio saranno necessari per compensare le emissioni derivanti dai processi industriali (IEA, 2023a), analogamente a quanto accade in altri Paesi.
L'Italia dovrebbe prendere in considerazione la possibilità di sancire per legge l'obiettivo di neutralità carbonica di tutti i settori della sua economia entro il 2050, ispirandosi all'esempio di altri grandi Paesi dell'UE. Attualmente, gli obiettivi di riduzione delle emissioni perseguiti dall'Italia non sono giuridicamente vincolanti, e gli obiettivi a livello europeo, sebbene giuridicamente vincolanti, sono diretti all'insieme delle emissioni prodotte nell'Unione europea e non specificamente a quelle italiane. Sancendo l'obiettivo di neutralità carbonica nella sua legislazione nazionale, l'Italia può accrescere la chiarezza dei suoi obiettivi di policy, rafforzare il suo impegno per l'azione sul clima, rafforzare l'accountability e accrescere la titolarità nazionale delle politiche climatiche dell'UE. Sebbene il nesso causale sia difficile da stabilire empiricamente, la ricerca condotta dall'OCSE suggerisce che i Paesi che codificano giuridicamente gli obiettivi di riduzione delle emissioni in tutti i settori delle loro economie tendono a realizzare maggiori riduzioni delle loro emissioni grazie alla robusta attuazione di politiche di mitigazione del clima (Riquadro 2.2). L'Italia potrebbe, inoltre, stabilire ulteriori obiettivi intermedi, che si collocherebbero tra l'obiettivo ridurre del 55 %, rispetto al 1990, le sue emissioni di gas serra entro il 2030 e quello di pervenire al saldo netto delle emissioni pari a zero entro il 2050. Ciò consentirebbe di effettuare valutazioni periodiche dei progressi compiuti verso la neutralità carbonica e favorirebbe i necessari aggiustamenti a livello di policy (D'Arcangelo et al., 2022).
Stabilire un obiettivo di riduzione delle emissioni al livello di tutti i settori dell'economia e sancirlo per legge (adozione di una legge sul clima) consente ai governi di comunicare la loro intenzione di rafforzare l'azione in materia climatica, riducendo così il grado di non-definizione delle politiche attuate. Tale scelta, inoltre, funge da strumento legislativo per impegnare anche i governi futuri ad attuare tali azioni. Ad esempio, l'attuale Governo britannico ha dovuto adottare un piano di attuazione più dettagliato della sua strategia di mitigazione dei cambiamenti climatici dopo che tre ONG hanno intentato e vinto una causa a suo carico per non aver rispettato gli impegni previsti nel Climate Change Act del 2008 (Higham, Setzer e Bradeen, 2022).
Ciminelli e D'Arcangelo (di prossima pubblicazione) esprimono la loro valutazione della correlazione tra la presenza di leggi sul clima, le emissioni di gas serra e la politica di mitigazione in un contesto di differenze nelle differenze. I Paesi che adottano leggi sul clima registrano, negli anni successivi, riduzioni delle emissioni significativamente maggiori rispetto a quelli che non le adottano, mentre non si rileva alcuna differenza negli anni precedenti (Figura 2.7, Grafico A). La differenza è statisticamente ed economicamente significativa (-6 % in media) e aumenta progressivamente nel tempo.
Inoltre, i Paesi dotati di leggi sul clima incrementano l'ambizione delle politiche di mitigazione dei cambiamenti climatici. L'innalzamento medio di tale livello registra uno scarto quadratico medio pari a 0,35 dopo l'approvazione di una legge sul clima (Figura 2.7, Grafico B, pallino blu). Le politiche di mitigazione diventano progressivamente più rigorose man mano che entrano in carica governi che promuovono leggi sul clima, e tale tendenza persiste negli anni successivi all'adozione di una data legge in materia (pallino rosso). L'incremento del livello di rigore delle politiche persiste anche dopo un cambio di governo (pallino verde). Il risultato è coerente con il fatto che le leggi sul clima producono effetti duraturi anche successivamente a mutamenti politici e conferma l'idea che l'inserimento degli obiettivi in materia di emissioni all'interno della legge costituisce un efficace strumento di impegno.
Il rafforzamento della governance della politica di mitigazione dei cambiamenti climatici aiuterebbe l'Italia a realizzare la transizione. L'Italia dovrebbe includere nel suo PNIEC alcune misure attuabili e identificare chiaramente i fabbisogni e le fonti di finanziamento per ciascuna misura (ECCO, 2023). L'Italia, inoltre, può ampliare il ruolo del Comitato Interministeriale per la Transizione Ecologica (CITE), istituito all'inizio del 2021 ma rimasto inattivo nel corso degli ultimi due anni, e incaricarlo di guidare l'attuazione dell'agenda delle politiche climatiche.
L'istituzione di un Consiglio indipendente per il clima, che controlli l'avanzamento dei processi di transizione energetica e climatica come avviene, tra l'altro, nel Regno Unito e in Svezia, consentirebbe di raggiungere risultati più efficaci rispetto all'istituzione di un Osservatorio relativo al PNIEC in seno al Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica, così come attualmente previsto. Tale Consiglio indipendente per il clima può altresì essere incaricato di monitorare l'attuazione delle politiche di adattamento ai cambiamenti climatici e fornire i necessari suggerimenti, anche avvalendosi dell'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) per condurre ricerche tecniche di supporto. Il Governo prevede, inoltre, di istituire una piattaforma di monitoraggio volta alla diffusione dei dati sul raggiungimento degli obiettivi e sull'efficacia delle diverse politiche attuate. Ciò consentirebbe l'introduzione di un sistema di monitoraggio con raccolta e rendicontazione automatizzata dei dati – che ad oggi è assente – e ridurrebbe l'attuale frammentazione del sistema informativo in materia di energia, che determina un aggravio dei costi di transazione (IEA, 2023a). L'accesso alla piattaforma dovrebbe essere reso agevolmente fruibile sui siti web, rispettivamente, dell'Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) e del Gestore dei Servizi Energetici (GSE).
Dopo aver tenuto conto sia della combustione di combustibili fossili sia delle emissioni legate ai prodotti secondari dei processi industriali, i settori quali le industrie energetiche (prevalentemente la produzione di energia elettrica), i trasporti, gli edifici e le industrie manifatturiere e delle costruzioni contribuiscono ciascuno al 20-25 % delle emissioni complessive generate dell'Italia (Figura 2.2, Grafico B). Le emissioni derivanti dai settori dell'agricoltura e della gestione dei rifiuti rappresentano il restante 10 %. Gran parte delle emissioni generate dalla produzione di energia elettrica, dall'industria manifatturiera e dall'industria delle costruzioni rientrano nel Sistema per lo scambio delle quote di emissione dell'UE (ETS). Il Sistema ha favorito una marcata riduzione delle emissioni generate da questi settori nel periodo 2005-2021; la sua recente riforma, inoltre, dovrebbe garantire che il Sistema continui a fornire i giusti incentivi finanziari per la decarbonizzazione. Le emissioni derivanti dai trasporti e dagli edifici hanno registrato una scarsa diminuzione nel periodo 2005-2021 (Figura 2.2, Grafico A). La quota rappresentata dagli edifici sul totale delle emissioni è sostanzialmente più alta in Italia che nel resto dei Paesi dell'UE e dell'OCSE.
Per assicurare una riduzione delle emissioni, occorre attuare un insieme di politiche adeguate a ciascun settore che genera ingenti emissioni di gas. Ciò include: (i) politiche di mercato, quali, ad esempio, i prezzi del carbonio, sistemi di Feed-In Tariff (FIT) e la fissazione di un prezzo per la congestione; (ii) norme e regolamenti, come, ad esempio, i divieti di attività inquinanti, le certificazioni energetiche per gli edifici e i limiti di velocità per le auto; e (iii) politiche complementari atte ad agevolare la riallocazione del capitale, della manodopera e della R&S verso attività a basse emissioni di carbonio (D'Arcangelo et al., 2022). La fissazione di un prezzo delle emissioni rappresenta un metodo alquanto diffuso nei Paesi dell'OCSE al fine di ridurre le emissioni, in quanto rende le tecnologie a basso contenuto di carbonio relativamente più competitive, incentivando così il passaggio della produzione e del consumo verso opzioni a basso contenuto di carbonio (Arlinghaus, 2015; Martin, Muûls e Wagner, 2016). Se il prezzo imposto per le emissioni prodotte è uguale per tutti i settori, i costi marginali di abbattimento saranno livellati e la riduzione delle emissioni sarà perseguita laddove è meno costosa. Inoltre, un sistema di fissazione del prezzo delle emissioni porta con sé il vantaggio di generare gettito fiscale e potrebbe, pertanto, assicurare un apporto positivo alle finanze pubbliche del Paese.
Tuttavia, imporre un prezzo delle emissioni uniforme in tutti i comparti dell'economia può risultare difficile dal punto di vista tecnico e politico. Inoltre, sebbene funzioni relativamente bene nel settore industriale, fissare il prezzo delle emissioni potrebbe non essere sufficiente per decarbonizzare altri settori dell'economia, a causa della presenza di disfunzioni del mercato. Le famiglie, soprattutto se condizionate da ristrettezze finanziarie, sono meno reattive ai segnali legati ai prezzi. Pertanto, altre politiche di mercato, tra cui sussidi e incentivi fiscali, standard e regolamenti, nonché politiche complementari, rappresentano opzioni interessanti per decarbonizzare i settori degli edifici e dei trasporti, laddove la maggior parte delle emissioni è generata dall'attività domestica.
L'azione di mitigazione dei cambiamenti climatici dovrebbe essere significativamente potenziata. Gli indicatori sintetici dell'OCSE che misurano il rigore delle politiche di mitigazione rilevano per l'Italia un minore progresso rispetto al resto dei Paesi dell'UE e dell'OCSE nel periodo 2010-2020 (Figura 2.8). Tali indicatori sintetici valutano l'azione politica in diversi ambiti, ripartiti in politiche di mercato, standard e regolamenti, nonché relativi a obiettivi climatici, governance e istituzioni, con valori più elevati che stanno ad indicare politiche più rigorose (Nachtigall et al., 2022). Tra i Paesi dell'OCSE che sono membri dell'UE, nel periodo 2010-2020 solo nella Repubblica Slovacca, nella Repubblica Ceca, in Polonia e in Grecia le politiche di mitigazione dei cambiamenti climatici sono state inasprite in misura inferiore rispetto all'Italia. La modesta entità dell'aumento delle politiche di mitigazione dei cambiamenti climatici nel periodo 2010-2020 in Italia è stato particolarmente evidente nel settore dei trasporti e nell'ambito della spesa pubblica destinata alle attività di R&S verde. Svariati studi dimostrano che il rigore delle politiche produce effetti rilevanti sulle emissioni (Nachtigall et al., 2023; Frohm et al., di prossima pubblicazione; Le Quéré et al., 2019).
Il Sistema per lo scambio delle quote di emissione di gas a effetto serra dell'UE (ETS), che attualmente include le grandi centrali elettriche, le industrie manifatturiere ad alta intensità energetica e il trasporto aereo intra-UE, si è dimostrato efficace in termini di riduzione delle emissioni nei diversi settori coinvolti (Bayer e Aklin, 2020; Dechezleprêtre, Nachtigall e Venmans, 2018). Attualmente il Sistema è in fase di estensione al trasporto marittimo e, perdipiù, è in corso un inasprimento del limite massimo previsto per le emissioni. Inoltre, nel 2027 entrerà in vigore a livello europeo un nuovo sistema ETS che riguarderà le emissioni rilasciate da edifici, trasporti stradali, piccole centrali elettriche e industrie non ad alta intensità energetica. Dei settori primari, sarà esclusa solo l'agricoltura, soprattutto a causa delle difficoltà tecniche di misurazione delle emissioni generate dal settore agricolo. Il nuovo Sistema mira a una riduzione, rispetto al 2005, del 42 % nel livello delle emissioni dell'intera Unione entro il 2030. Sebbene i due schemi saranno inizialmente gestiti separatamente, potrebbero essere fusi in un unico sistema nel 2030, determinando potenzialmente un medesimo prezzo ETS per la maggior parte dei settori economici. La riforma del Sistema ETS dell'UE è completata dall'introduzione di un meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere a livello europeo a partire dal 2026. Ciò ridurrà il rischio di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio, ovvero la sostituzione di beni rientranti nell'ambito dell'ETS con importazioni provenienti da altri Paesi soggetti a una tassa sul carbonio più bassa (OECD, di prossima pubblicazione).
La domanda di diritti di emissione (quote) è determinata da condizioni cicliche e dagli sviluppi nei singoli Paesi dell'UE, mentre l'erogazione di certificati nell'ambito dell'ETS è predeterminata, il che può generare una certa volatilità nell'evoluzione dei prezzi all'interno del Sistema. Nel 2019, l'UE ha introdotto le riserve di stabilità del mercato per gestire le emissioni in eccedenza e ridurre le oscillazioni dei prezzi al ribasso, che potrebbero ostacolare gli investimenti nel settore delle tecnologie a basse emissioni di carbonio. L'Italia potrebbe prendere in considerazione l'introduzione di un prezzo minimo nell'ambito dell'ETS, sotto forma di una tassa esplicita sul carbonio nei settori coperti dall'ETS, da applicare ogni qual volta il prezzo del carbonio nell'ambito dell'ETS scenda al di sotto di un livello predeterminato. Gli emettitori pagherebbero la differenza al Governo italiano, fissando così una soglia minima per il prezzo del carbonio. La definizione di una traiettoria di graduale aumento del prezzo minimo consentirebbe alle imprese di prepararsi a prezzi del carbonio più elevati in futuro al fine di evitare perdite di competitività. Al contempo, il prezzo minimo non dovrebbe essere troppo elevato, in quanto ciò aumenterebbe il rischio di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio. Il Regno Unito e i Paesi Bassi hanno previsto l'applicazione di un prezzo minimo nel Sistema ETS, rispettivamente nel 2013 e nel 2021 (D'Arcangelo et al., 2022), mentre la Danimarca prevede di introdurlo nel 2025. Il Canada ha introdotto un prezzo minimo del carbonio nel 2019 (Parry e Mylonas, 2017). L'introduzione di un prezzo minimo del carbonio genererebbe anche gettito fiscale.
In Italia, i prezzi effettivi del carbonio – l'imposta totale che si applica alle emissioni di anidride carbonica derivanti dal consumo di energia – in alcuni casi sono elevati (Figura 2.9). Il prezzo effettivo del carbonio è determinato sia dal prezzo applicato nel Sistema ETS sia dal livello delle specifiche tasse che ciascun Paese applica sui combustibili fossili, tenendo altresì conto di eventuali agevolazioni ed esenzioni (OECD, 2021a; D'Arcangelo et al., 2022). L'Italia applica accise elevate su alcuni combustibili fossili, che si traducono in prezzi effettivi del carbonio legati al consumo dell'energia che sono più elevati rispetto a quelli applicati nel resto dell'UE in tutti i vari settori, ad eccezione dei trasporti cosiddetti "offroad". Rispetto agli altri Paesi dell'OCSE, l'Italia applica i prezzi effettivi del carbonio più elevati a tutti i settori della sua economia.
Tuttavia, le accise sui combustibili fossili relative al contenuto di emissioni dei combustibili fossili sono altamente eterogenee tra i vari settori e tra i combustibili (Tabella 2.4). Sebbene avvenga anche in altri Paesi, ciò produce sforzi di riduzione delle emissioni non ottimali. In media, tra i diversi combustibili, in Italia le accise sono più alte per la benzina e il gasolio – ma significativamente più basse per il gasolio rispetto alla benzina – mentre sono relativamente contenute sul gas naturale. Considerando sia il prezzo legato al Sistema ETS sia le accise, in Italia come in altri Paesi, il settore del trasporto su strada è soggetto a un prezzo effettivo del carbonio di gran lunga più elevato (Figura 2.9). Altri comparti, quali gli edifici, l'industria e la produzione di energia elettrica sono soggetti a prezzi effettivi del carbonio circa 5 volte inferiori a quelli applicati al trasporto su strada. Tuttavia, rispetto ad altri Paesi, l'Italia si distingue in quanto applica un prezzo effettivo del carbonio particolarmente elevato per gli edifici, in gran parte risultante dalle accise elevate (Figura 2.9).
L'Italia dovrebbe assicurare la piena attuazione dei piani introdotti di recente per generare un maggiore allineamento tra le accise applicate sui combustibili fossili e il livello di emissioni derivanti dal loro utilizzo, laddove possibile incrementando tali accise. I divari esistenti tra i prezzi effettivi del carbonio per singolo settore determinano una dispersione dei costi marginali di abbattimento e un livello inefficace di riduzione delle emissioni. A partire dal 2030, i divari in termini di prezzi effettivi del carbonio tra i grandi settori emittenti potrebbero essere legati esclusivamente alle imposte nazionali, a seguito della potenziale fusione dei due Sistemi ETS. Il Governo ha recentemente approvato una riforma fiscale da realizzare entro i prossimi due anni. In linea con i principi generali della proposta di revisione della Direttiva UE sulla tassazione dell'energia, la riforma prevede che le accise applicate ai prodotti energetici e all'elettricità siano stabilite con l'obiettivo di ridurre le emissioni generate. Tenendo conto delle implicazioni sociali e dei possibili impatti sulla competitività delle imprese, l'Italia dovrebbe attuare la riforma incrementando gradualmente le accise sui combustibili fossili laddove sono basse rispetto al livello di emissioni associato al combustibile, dando priorità ai casi in cui il prezzo effettivo del carbonio complessivo è inferiore al costo sociale del carbonio, stimato a 60 euro per tonnellata di CO2 nel 2018 (OECD, 2021a). L'applicazione di accise basate sul livello di emissioni associate ai carburanti contribuirebbe anche ad allineare i prezzi effettivi del carbonio tra i vari carburanti utilizzati in un medesimo settore. In tal modo si porrebbe fine al trattamento di favore riservato al gasolio, che produce effetti negativi sulla salute che sono di entità superiore a quelli prodotti dalla benzina.
Accise (EUR per tCO2eq)
Trasporto stradale |
Altri tipi di trasporto |
Agricoltura |
Edifici |
Industria |
Generazione di elettricità |
|
---|---|---|---|---|---|---|
Benzina |
322 |
0 |
158 |
322 |
312 |
/ |
Gasolio |
232 |
9 |
47 |
151 |
68 |
5 |
Cherosene |
/ |
0 |
/ |
137 |
42 |
/ |
Olio combustibile |
/ |
0 |
/ |
/ |
17 |
5 |
GPL |
92 |
/ |
6 |
49 |
5 |
0 |
Gas naturale |
2 |
2 |
7 |
67 |
4 |
0 |
Carbone e altri combustibili fossili solidi |
/ |
/ |
/ |
/ |
2 |
5 |
Biocarburanti |
302 |
/ |
0 |
0 |
0 |
0 |
Nota: il trasporto offroad include il trasporto marittimo, ferroviario e aereo. L'acronimo GPL indica il Gas di Petrolio Liquefatto.
Fonte: OCSE – banca dati dei prezzi effettivi del carbonio.
L'eterogeneità dei prezzi effettivi del carbonio può essere ulteriormente ridotta eliminando i sussidi impliciti ai combustibili fossili, come previsto dai piani governativi. Il Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE) italiano stima che i sussidi impliciti ai combustibili fossili ammontassero a circa lo 0,4 % del PIL nel 2021 (MASE, 2022). La riduzione dei sussidi impliciti ai combustibili fossili (ad esempio: la riduzione applicata su una parte delle accise sul gasolio pagate dagli esercenti del settore del trasporto merci e passeggeri su strada) libererebbe importanti risorse fiscali che potrebbero essere in parte utilizzate per incentivare le tecnologie a basse emissioni di carbonio o essere ridistribuite alle famiglie a basso reddito che risentono in misura sproporzionata della transizione climatica. La riforma fiscale prevede che le agevolazioni sulle accise dei prodotti energetici, in particolare quelle che costituiscono sussidi dannosi per l'ambiente, siano riviste e riorganizzate. Il PNIEC identifica, inoltre, 18 sussidi ai combustibili fossili che devono essere gradualmente eliminati, e le autorità hanno in programma di redigere una tabella di marcia che delinei i piani volti a eliminare tutti i sussidi impliciti. Nell'elaborazione di questa tabella di marcia, sarà importante considerare il livello dei prezzi dell'energia e garantire che i sussidi vengano gradualmente eliminati.
L'abbondanza di luce naturale, soprattutto nelle regioni meridionali del Paese, e di vento, in alcune aree della sua estesa fascia costiera, pone l'Italia in una posizione favorevole per la generazione di grandi volumi di elettricità da fonti rinnovabili, necessari per realizzare l'elettrificazione e la decarbonizzazione dell'economia. Le emissioni derivanti dalla produzione di energia elettrica sono ampiamente coperte dal Sistema ETS dell'UE. Inoltre, i produttori di energia elettrica da fonti rinnovabili su media e larga scala beneficiano di un sistema di contratti bidirezionali per differenza al fine di ridurre la volatilità dei ricavi, mentre la generazione da parte dei produttori su piccola scala è parzialmente sovvenzionata dal Governo italiano. Ciò indica che gli incentivi finanziari volti ad incrementare la produzione di elettricità verde sono già disponibili. Tuttavia, nel corso degli ultimi anni la diffusione dell'elettricità da fonti rinnovabili è stata ostacolata da iter autorizzativi lunghi e complessi e dall'opposizione espressa a livello locale in merito alle grandi centrali elettriche alimentate da energie rinnovabili: i progetti su larga scala autorizzati tra il 2017 e il 2020 hanno dovuto attendere in media 7 anni e mezzo prima di ottenere i permessi amministrativi necessari (Althesys, 2021). Il Governo ha adottato alcune misure atte a snellire gli iter autorizzativi; tuttavia, il numero di progetti in attesa di autorizzazione è ancora elevato. Il passaggio all'elettricità da fonti rinnovabili richiede anche investimenti significativi in termini di capacità di trasmissione e stoccaggio.
Le emissioni derivanti dalla produzione di energia elettrica sono in costante diminuzione dal 2008 nonostante una produzione sostanzialmente stabile, e sono destinate a diminuire di un ulteriore 40 % nel periodo 2021-2030 (MASE, 2023). La riduzione delle emissioni nel periodo 2008-2021 è stata frutto di una graduale eliminazione del carbone e della crescente propensione all'utilizzo di gas naturale ed energie da fonti rinnovabili. Nell'ottobre 2017, il Governo si è impegnato a chiudere tutte le rimanenti centrali elettriche a carbone entro il 2025 (IEA, 2023a). La versione aggiornata del PNIEC conferma ampiamente tale obiettivo, ad eccezione degli impianti a carbone situati in Sardegna, che saranno gradualmente eliminati solo quando l'isola sarà connessa al resto del Paese attraverso il collegamento tirrenico, la cui entrata in funzione è prevista per il 2028. Circa il 15 % del consumo di energia elettrica è coperto dalle importazioni provenienti dai Paesi limitrofi.
La quota delle energie rinnovabili nella produzione lorda di elettricità in Italia è pressoché raddoppiata nel periodo compreso tra il 2008 e il 2014; tuttavia, tale incremento si è arrestato nel corso degli ultimi anni, attestandosi intorno al 40 % (Figura 2.10, Grafico A), in linea con gli altri Paesi dell'UE. L'energia idroelettrica rappresenta la componente principale dell'energia elettrica da rinnovabili, generando circa il 15 % dell'elettricità complessiva. Il solare fotovoltaico e l'eolico rappresentano le altre due fonti rinnovabili primarie che, congiuntamente, generano circa il 15 % dell'elettricità complessiva generata. La loro forte crescita nel periodo 2008-2014 è stata resa possibile dall'installazione di impianti solari su scala industriale e di pannelli solari individuali installati sugli edifici, nonché di impianti eolici onshore, favoriti da generosi incentivi successivamente abrogati. Nel periodo 2014-2021, l'installazione di impianti di maggiori dimensioni è rallentata significativamente e l'espansione della capacità solare ed eolica è stata appena sufficiente a compensare la diminuzione della produzione di elettricità da fonti idroelettriche a causa della siccità persistente e di livelli delle acque nei laghi inferiori alla media. Il PNIEC prevede che la produzione di energia rinnovabile raggiunga il 65 % della produzione di elettricità entro il 2030 (MASE, 2023). Si stima, inoltre, che l'aumento della capacità di generazione di energia rinnovabile vedrà protagonista l'energia solare, mentre il comparto dell'eolico onshore rappresenterà la principale quota rimanente (Figura 2.10, Grafico B). Si stima che il potenziale dell'eolico offshore e delle altre rinnovabili rimanga in gran parte inutilizzato nel breve termine rispetto agli scenari elaborati da istituzioni indipendenti (Terna; Snam, 2022; Althesys, 2021).
L'Italia offre un introito fisso garantito per 20 anni ai produttori di energia da fonti rinnovabili basato su un sistema di contratti bidirezionali per differenza di costi al fine di incentivare l'installazione di nuova capacità di generazione di energia rinnovabile. Annualmente vengono stabiliti degli obiettivi specifici per la capacità aggiuntiva e i prezzi dei contratti vengono fissati attraverso un'asta inversa, con l'aggiudicazione del contratto caratterizzato dall'offerta più bassa. Se il prezzo di mercato dell'energia elettrica all'ingrosso è inferiore al prezzo di contratto, i fornitori percepiscono un importo pari alla differenza di prezzo; nel caso opposto, questi ultimi pagano la differenza (IEA, 2023a). Grazie alla procedura di asta inversa, il prezzo del contratto è il più basso possibile al fine di soddisfare il vincolo di partecipazione per i produttori di energia rinnovabile. L'attuale sistema si rivolge a tecnologie mature quali il comparto del solare fotovoltaico, dell'eolico onshore e dell'idroelettrico, mentre una proposta di sistema separato per incentivare l'eolico offshore, i biocarburanti, il solare termodinamico e la geotermia è stata presentata alla Commissione europea per essere esaminata all'inizio del 2023. Il PNIEC aggiornato prevede anche la promozione di accordi per l'acquisto di energia elettrica tra produttori e consumatori sempre al fine di promuovere l'espansione delle rinnovabili. La diffusione degli accordi per l'acquisto di energia elettrica sarà sostenuta anche dalla proposta di riformare la struttura del mercato elettrico dell'Unione europea.
In Italia un gran numero di progetti legati all'energia rinnovabile è ancora in attesa di ricevere i necessari permessi amministrativi. Nel settembre 2023, le richieste di connessione alla rete presentate dai produttori di energia rinnovabile a Terna (gestore del sistema di trasmissione), erano complessivamente pari a circa 4 volte il fabbisogno necessario per raggiungere l'obiettivo di nuova capacità rinnovabile installata al 2030, il che evidenzia il potenziale di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili che caratterizza l'Italia (Figura 2.11). Di queste richieste ancora inevase, quelle relative a progetti con una capacità pari a circa il 40 % di quella necessaria per raggiungere l'obiettivo al 2030 avevano già ricevuto il via libera da Terna ma erano in attesa di autorizzazione amministrativa (si veda il Riquadro 2.3 per i dettagli sui relativi permessi), con le regioni del Sud del Paese che registravano i maggiori ritardi.
Il numero di progetti ancora in attesa di autorizzazione amministrativa è in parte il risultato del lungo iter amministrativo previsto per l'ottenimento di una Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) positiva, che spesso rappresenta una condizione necessaria ma non sufficiente per ottenere un'autorizzazione amministrativa. In linea di principio, la VIA dovrebbe essere completata entro 330 giorni. Tuttavia, secondo le istituzioni indipendenti, alla fine del 2022 circa il 70 % dei progetti che avevano avviato la procedura per il rilascio di VIA nel periodo compreso tra il 2019 e il 2021 erano ancora in attesa di una decisione a riguardo (Figura 2.12, Grafico A). Inoltre, i progetti a cui è stata riconosciuta una VIA positiva spesso non vengono comunque autorizzati. Considerazioni legate alla tutela del paesaggio sono spesso utilizzate dalle amministrazioni locali per motivare la scelta di bloccare alcuni progetti, anche laddove sia stata emessa una VIA positiva. Manca un elenco che definisca le ragioni valide per potersi opporre alla realizzazione di un progetto, lasciando così spazio a scelte soggettive operate dai soggetti preposti a decidere a riguardo. Sono spesso le comunità locali ad opporsi ai progetti legati alle energie rinnovabili, inducendo, così, le autorità locali a bloccare tali progetti (Bartolamai, 2022). Simili problematiche sono particolarmente rilevanti nel caso di progetti relativi all'energia eolica (Figura 2.12, Grafico B).
L'iter autorizzativo inizia con la presentazione, da parte del produttore di energia elettrica rinnovabile, di una richiesta a Terna, l'operatore del sistema di trasmissione italiano, al fine di predisporre una stima dei tempi e dei costi per la connessione alla rete. Laddove decida di proseguire dopo aver ricevuto la stima dei costi da Terna, il produttore presenta un progetto che necessita dell'approvazione di Terna. La stima dei tempi e dei costi per la connessione alla rete e l'approvazione del progetto da parte di Terna possono richiedere fino a 240 giorni. Successivamente all'approvazione rilasciata da Terna, il progetto deve ottenere l'autorizzazione amministrativa, che, in caso di esito positivo, viene concessa dalla Regione interessata al termine di una procedura di autorizzazione unica a cui partecipano tutte le amministrazioni interessate. Tale procedura non dovrebbe durare più di 90 giorni, al netto della tempistica prevista per l'emissione della VIA, ove necessaria.
L'autorizzazione di progetti con capacità superiore a una certa soglia (rispettivamente, 30 MW per i parchi eolici e 10 MW per i parchi solari) è necessariamente subordinata al rilascio di una VIA positiva da parte dell'amministrazione centrale. I progetti con capacità inferiore alla soglia stabilita sono sottoposti a screening atto a determinare se la VIA sia necessaria. Gli iter relativi allo screening, alla valutazione (ove necessaria) e all'autorizzazione finale per tali progetti di dimensioni minori sono di competenza delle Regioni. Per i progetti su scala molto piccola (inferiori, rispettivamente, a 60 kW per l'eolico e a 50 kW per il solare) è necessario soltanto presentare una comunicazione scritta al Comune (Procedura Abilitativa Semplificata – PAS). In assenza di riscontro negativo da parte del Comune entro 30 giorni dalla presentazione della comunicazione, il progetto è considerato autorizzato.
La riforma che coinvolge le aree idonee, adottata nel 2021 ma solo parzialmente attuata, stabilisce che la costruzione di impianti di energia rinnovabile con capacità inferiore a 10 MW in aree idonee può essere autorizzata, secondo il principio del consenso tacito, per il tramite della Procedura Abilitativa Semplificata (PAS). I progetti caratterizzati da capacità compresa tra 10 MW e 30 MW presentati prima del luglio 2024 sono, invece, soggetti al rilascio di permessi secondo procedure di autorizzazione standard, ma sono esentati dall'ottenimento di una VIA positiva. Il termine legale per effettuare la VIA e concedere l'autorizzazione è ridotto di un terzo e all'autorità che si occupa delle valutazioni legate alla tutela del paesaggio sono negati poteri di veto. Inoltre, i progetti eolici offshore con capacità inferiore a 50 MW nelle aree individuate dai nuovi piani di gestione dello spazio marittimo non sono soggetti alla VIA.
Il Governo ha intrapreso alcune azioni volte ad accelerare le procedure autorizzative. Ha, infatti, approvato la cosiddetta "riforma aree idonee". La riforma (i) richiede alle Regioni di individuare le aree idonee e non idonee per l'installazione di capacità da fonti rinnovabili sulla base di criteri uniformi emanati dal Governo centrale e prevede iter autorizzativi più snelli per i progetti dedicati alle aree idonee, (ii) definisce alcune aree già come idonee in attesa dell'emanazione dei decreti attuativi (ad esempio, gli ex siti minerari) e (iii) stabilisce un principio di ripartizione degli oneri in base al quale ogni Regione deve raggiungere un obiettivo per l'installazione di nuova capacità da fonti rinnovabili entro il 2030, il che dovrebbe aumentare la titolarità regionale dei progetti da fonti rinnovabili (Viganò et al., 2021). Il Governo ha altresì istituito una commissione tecnica speciale in seno al Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica per le verifiche dell'impatto ambientale e un'altra commissione per occuparsi delle Valutazioni di Impatto Ambientale in relazione al patrimonio culturale e paesaggistico per i progetti ricompresi, rispettivamente, nel PNRR e nel PNIEC. Il Governo, inoltre, ha istituito uno sportello unico per la presentazione delle richieste di autorizzazione e ha abolito il requisito di ottenere un permesso nel caso di installazione di pannelli solari di piccole dimensioni sugli edifici, iniziativa meno osteggiata dalle comunità locali (REF, 2022).
Le recenti riforme volte a velocizzare gli iter autorizzativi hanno contribuito ad accelerare l'installazione di nuova capacità di generazione di energia rinnovabile; tuttavia, è necessario compiere ulteriori sforzi. Le nuove capacità annuali di generazione da fonti rinnovabili sono state pressoché quadruplicate nel periodo compreso tra il 2021 e il 2023; ciononostante, sono ancora notevolmente al di sotto dei livelli previsti dal PNIEC, e l'incremento del ritmo delle installazioni è stato trainato primariamente dal comparto solare, mentre il settore dell'energia eolica registra alcuni ritardi (Figura 2.13). La riforma delle aree idonee è dotata del potenziale necessario per snellire ulteriormente le procedure autorizzative, e Terna stima che circa un quarto del territorio italiano potrebbe essere classificato come area idonea (Terna; Snam, 2022). Il Governo dovrebbe emanare prontamente i decreti che stabiliscono i criteri di identificazione delle aree idonee e definiscono il sistema di ripartizione degli oneri tra le Regioni.
Il Governo può intraprendere ulteriori azioni atte a sbloccare del tutto il potenziale dell'energia rinnovabile in Italia. La riforma delle aree idonee produrrebbe effetti più accentuati in presenza di un più alto limite di capacità al di sotto del quale i progetti che coinvolgono aree idonee possono essere autorizzati attraverso la "Procedura Abilitativa Semplificata" (si veda il Riquadro 2.3 per i relativi dettagli), poiché la capacità a livello di mediana dei progetti solari con richiesta di connessione alla rete ancora in attesa di autorizzazione è pari a circa il doppio della soglia attualmente fissata. Inoltre, l'esenzione dalla VIA per i progetti che coinvolgono aree idonee con capacità fino a 30 MW, attualmente in scadenza nel luglio 2024 (Riquadro 2.3), dovrebbe essere resa una misura permanente. Infine, per garantire che la VIA non subisca ritardi, ciascuna delle sue fasi dovrebbe essere soggetta al principio del consenso tacito. Il medesimo principio dovrebbe applicarsi per la procedura di screening preliminare, ove necessaria, e per la procedura di "Autorizzazione Unica Ambientale", che sovente richiede tempi più lunghi rispetto al termine legale fissato a 90 giorni (Riquadro 2.3).
L'identificazione di aree speciali per lo sviluppo di parchi eolici offshore attraverso piani di gestione dello spazio marittimo agevolerebbe le attività di programmazione e di coordinamento tra Terna e i produttori di energia. È importante assicurare prontamente l'approvazione di questi piani. A tal fine, sarebbe d'aiuto potersi avvalere di un iter autorizzativo chiaro per i parchi eolici offshore e che la responsabilità di tali procedure fosse in capo al Governo centrale (IEA, 2023a; Legambiente, 2023). Inoltre, è possibile aumentare il limite al di sotto del quale si deroga alla VIA nelle aree indicate nei piani di gestione dello spazio marittimo, poiché il livello attualmente previsto (50 MW) è molto basso per i parchi eolici offshore, per i quali la dimensione mediana delle richieste di connessione alla rete presentate a Terna è pari a circa 3 000 MW.
Il supporto delle comunità locali è di fondamentale importanza per garantire l'autorizzazione dei progetti in materia di energia rinnovabile. Al tal fine, è necessario che le comunità siano coinvolte tempestivamente attraverso adeguate campagne di informazione e possano beneficiare di una compartecipazione finanziaria negli impianti di energia rinnovabile, ad esempio attraverso la condivisione degli introiti o la riduzione dei prezzi dell'elettricità per i Comuni che ospitano gli impianti alimentati da fonti rinnovabili. Le comunità energetiche, che consentono ai cittadini di partecipare al mercato dell'elettricità generando, consumando, condividendo e vendendo elettricità, o fornendo servizi di flessibilità attraverso sistemi di Demand Response e stoccaggio, possono così assicurare il supporto agli impianti alimentati da fonti rinnovabili. La priorità ad esse accordata nell'ambito del PNRR, attraverso la concessione di prestiti a tasso zero nelle piccole comunità, rappresenta un passo avanti pregevole. Tuttavia, le comunità energetiche italiane sono ancora notevolmente sottoutilizzate rispetto a Paesi quali la Germania. Nell'intento di colmare tale lacuna, l'Italia ha recentemente sottoposto all'approvazione della Commissione europea la bozza di decreto che istituisce una tariffa agevolata per le comunità energetiche e i prosumer.
Espandere il livello di diffusione dell'energia elettrica da fonti rinnovabili non può prescindere dalla realizzazione di investimenti in capacità di trasmissione e stoccaggio. L'elettricità da fonti rinnovabili dovrà essere trasmessa dal Sud del Paese, dove è concentrato il potenziale di generazione, alle sue regioni del Nord, dove i livelli di consumo sono più elevati (Figura 2.14). Terna prevede che la capacità di trasmissione debba più che raddoppiare nel periodo 2021-2030 (Terna; Snam, 2022). Nel suo ultimo piano di sviluppo, Terna prevede investimenti per un valore complessivo superiore all'1 % del PIL italiano nell'arco di un decennio (Terna, 2023a). Il piano prevede l'introduzione di una nuova tecnologia di rete (Hypergrid) che raddoppierà la capacità di scambio tra le zone di mercato, riducendo così il consumo di suolo e l'impatto ambientale. Altri elementi essenziali riguardano la costruzione di 5 nuove dorsali elettriche, con connessioni sottomarine e il potenziamento delle linee elettriche esistenti per rafforzare i collegamenti tra le diverse regioni. Il PNRR prevede, inoltre, investimenti nel settore delle reti elettriche intelligenti (Smart Grid) e della resilienza climatica delle reti per un valore pari allo 0,2 % circa del PIL.
Lo sviluppo della rete è stato rallentato da lungaggini e criticità nell'iter autorizzativo; tuttavia, le riforme recentemente introdotte dovrebbero garantire tempistiche più rapide per l'approvazione dei progetti primari. Il piano di investimento di Terna deve essere approvato dal Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica dopo essere stato sottoposto a una valutazione ambientale strategica che coinvolge molteplici istituzioni (IEA, 2023a). Successivamente all'approvazione del piano di Terna, ciascun progetto di sviluppo della rete deve comunque essere sottoposto a VIA e ottenere un'autorizzazione amministrativa. Congiuntamente, la Valutazione Ambientale Strategica (VAS) e la procedura di autorizzazione di ciascun progetto richiedono 7-8 anni di attesa (IEA, 2023a). Simili tempistiche costituiscono un fattore di problematicità, in quanto la mancanza di una sufficiente capacità di stoccaggio e di trasmissione potrebbe frenare gli investimenti nel settore della generazione, e viceversa. Le riforme adottate di recente sono dotate del potenziale per accelerare tale processo. Il DDL Concorrenza 2023 contempla una disposizione che impone al Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica di approvare il piano entro 18 mesi. I progetti ritenuti di importanza strategica per il processo di decarbonizzazione possono essere autorizzati anche in attesa dell'autorizzazione del piano.
La natura intermittente dell'energia solare ed eolica impone altresì grandi investimenti in capacità di accumulo, al fine di consentire di immagazzinare energia elettrica quando viene prodotta e di rilasciarla quando viene consumata. Secondo Terna, la maggior parte degli investimenti dedicati alla capacità di stoccaggio elettrochimico si concentrerà nelle regioni meridionali del Paese (Figura 2.15). Gli scenari di lungo termine elaborati da istituzioni indipendenti sottolineano che la capacità di stoccaggio dovrà essere tanto più elevata quanto minore sarà, all'interno del mix elettrico, la quota dell'eolico, che è complementare al solare, e del biometano, che è distribuibile (REF, 2023). L'Italia dovrebbe rafforzare gli incentivi volti all'installazione di impianti con capacità di stoccaggio e alla semplificazione delle procedure di rilascio dei permessi. Il rafforzamento del mercato della capacità e il potenziamento dei contratti a lungo termine tra i produttori di energia e i detentori di capacità di stoccaggio saranno importanti per stimolare gli investimenti in impianti di stoccaggio su larga scala, che finora si sono rivelati scarsi. La recente deroga alla VIA e all'autorizzazione a costruire impianti di stoccaggio al di sotto di una certa capacità in aree dotate di impianti di generazione di energia rinnovabile già esistenti costituisce un passo avanti nel processo di semplificazione delle procedure volte al rilascio dei permessi.
Il PNIEC prevede altresì la produzione per elettrolisi di idrogeno, che può essere immagazzinato e trasportato in altre aree, quale metodo alternativo per gestire l'eccesso di produzione di elettricità da fonti rinnovabili. Al fine di sviluppare le infrastrutture per lo stoccaggio e il trasporto di idrogeno, l'Italia potrebbe riutilizzare alcune sezioni della sua estesa rete di gasdotti per il gas naturale, come attualmente previsto da SNAM (il principale operatore italiano per il trasporto e il dispacciamento del gas). L'idrogeno e altri e-fuel potrebbero essere utilizzati per decarbonizzare settori difficili da elettrificare, tra cui l'industria pesante, il trasporto merci e l'aviazione.
L'applicazione di un sistema basato su prezzi dinamici può aiutare a gestire i periodi di eccesso di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Il recente completamento del processo di liberalizzazione del mercato dell'elettricità dovrebbe determinare una riduzione dei prezzi medi dell'elettricità per i consumatori, grazie ad un incremento della concorrenza. Quale prossimo passo, i distributori di energia elettrica potrebbero offrire prezzi variabili in base all'offerta di elettricità nella rete. Controllando il prezzo dell'elettricità in tempo reale tramite applicazioni mobili (app), i consumatori potrebbero regolare i loro consumi, riducendo così i fabbisogni di trasmissione grazie alla regolazione della domanda (Davis, Hausman e Rose, 2023). Sistemi analoghi sono già in vigore in altri Stati membri dell'UE, tra cui i Paesi Bassi.
Periodi potenzialmente lunghi di scarsa produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili impongono il rafforzamento delle connessioni con altri Paesi e il mantenimento di un certo grado di capacità di generazione di base derivante da altre fonti. In linea di principio, l'energia nucleare potrebbe conferire tale capacità di base; tuttavia, l'Italia ha deciso di eliminare gradualmente l'elettricità da fonti nucleari con un referendum tenuto nel 1987. Il Governo è ora aperto a riconsiderare la decisione dell'epoca, sebbene rovesciare l'esito del referendum del 1987 potrebbe essere politicamente problematico, anche per ciò che concerne reattori di piccole dimensioni e tecnologicamente avanzati. Il PNIEC prevede che il gas naturale costituisca la fonte principale di capacità di carico di base e mira a un aumento significativo del biometano, che è altresì programmabile. Le importazioni nette di elettricità provenienti da altri Paesi dovrebbero registrare un incremento fino al 2030 e rimanere sostanzialmente costanti successivamente a tale data (REF, 2022). Il PNIEC indica come obiettivo prioritario il rafforzamento delle connessioni di rete con i Paesi limitrofi, incluso il Nord Africa, dove il potenziale di elettricità solare è elevato anche nei mesi invernali. Tuttavia, il collegamento dell'Italia al Nord Africa non dovrebbe costituire un motivo per sottoutilizzare il potenziale delle fonti di energia rinnovabile italiane.
L'aggiornamento del PNIEC ha come obiettivo una riduzione dei gas serra pari a circa il 40 % nel periodo 2005-2030 per il settore dei trasporti, che rappresenta il comparto primariamente responsabile delle emissioni in Italia. Nel periodo 2005-2021, le emissioni generate dai trasporti sono diminuite soltanto del 20 % circa. La quota più consistente di tale decremento è stata registrata dopo la crisi finanziaria globale, quando il consumo di energia è diminuito del 15 %, a seguito di una flessione della mobilità in un contesto di crescita debole. La successiva ripresa della mobilità è stata compensata da una marcata diminuzione dei consumi energetici, cosicché il consumo complessivo di energia è rimasto sostanzialmente costante fino alla pandemia da COVID-19. Le automobili e gli autocarri sono responsabili della maggior parte delle emissioni generate dal trasporto nazionale (Figura 2.16, Grafico A). La percentuale di motocicli è significativa rispetto agli standard internazionali. Le emissioni derivanti dal trasporto aereo nazionale sono contenute, sebbene siano aumentate rapidamente nel corso degli ultimi anni.
Al fine di ridurre, nel breve periodo, le emissioni generate dal settore dei trasporti, il PNIEC prevede un'azione combinata volta contestualmente alla riduzione dei consumi energetici e all'aumento della diffusione delle energie rinnovabili. Il consumo di energia dovrebbe diminuire di oltre il 10 % nel periodo compreso tra il 2021 e il 2030, mentre la diffusione delle energie rinnovabili dovrebbe aumentare dal 5 % nel 2021 a oltre il 15 % nel 2030 (dall'8 % al 31 % secondo i criteri di elaborazione di Eurostat, che attribuiscono un peso maggiore a determinate tipologie di energie rinnovabili). Solamente un quarto del consumo di energie rinnovabili nel settore dei trasporti nel 2030 dovrebbe provenire dal settore dell'elettricità rinnovabile, mentre i restanti tre quarti dovrebbero derivare dal settore dei biocarburanti (di cui l'Italia è leader mondiale) e dal biometano.
L'UE ha stabilito il divieto di vendita della maggior parte delle autovetture alimentate da motori a combustione interna a partire dal 2035. Il divieto si applicherà ai motori alimentati con biocarburanti e biometano, con l'unica eccezione di quelli alimentati con carburanti a zero emissioni (e-fuel). Tuttavia, i biocarburanti e il biometano, insieme all'idrogeno, possono rappresentare un elemento importante in settori nei quali è difficile attuare il processo di elettrificazione, quali l'aviazione e il trasporto marittimo. La produzione di e-fuel, che utilizza l'elettricità rinnovabile per convertire l'anidride carbonica e l'acqua in carburanti a base di idrocarburi, è ad elevata intensità energetica. Ciò indica che la generazione di elettricità rinnovabile andrebbe ulteriormente incrementata, con ovvio aumento dei costi, il che può costituire un ostacolo alla loro adozione su larga scala. Il dato induce a pensare che l'elettrificazione diretta dei veicoli possa costituire un metodo più efficiente ed economico per ridurre le emissioni rispetto agli e-fuel.
Sebbene il livello delle emissioni pro capite generate dalle autovetture sia modesto rispetto agli standard internazionali (Figura 2.17, Grafico A), grazie alle dimensioni ridotte e all'intensità energetica dell'autovettura media, i camion merci presentano emissioni e intensità energetiche elevate (Grafico B). Analogamente a quanto avviene in altri Paesi, il gasolio beneficia di un'aliquota di accisa per unità di emissioni di CO2 molto più bassa rispetto alla benzina (Tabella 2.4). Poiché il gasolio rappresenta di gran lunga la tipologia di carburante maggiormente utilizzato per i camion merci, ciò riduce gli incentivi all'acquisto di camion più efficienti dal punto di vista energetico e produce impatti particolarmente negativi sulle persone, in quanto i gas di scarico del gasolio determinano effetti cancerogeni sulla salute umana (IARC, 2012). Inoltre, l'accisa sul gasolio imposta agli esercenti dei servizi di trasporto può essere in parte recuperata dai contribuenti. Sebbene l'agevolazione si applichi solo agli autocarri appartenenti alla categoria 5 o categoria superiore dello standard europeo sulle emissioni inquinanti, essa riguarda comunque tutti gli autocarri immatricolati dopo il 2008.
Tenendo in considerazione le implicazioni sociali e i possibili impatti sulla competitività delle imprese, il Governo dovrebbe incrementare le accise sul gasolio ed eliminare gradualmente lo sconto applicato sulle accise per gli automezzi pesanti, poiché tale trattamento fiscale agevolato confonde i segnali in materia di prezzi e si traduce in minori introiti per il Governo. Il solo sgravio fiscale costa ai contribuenti circa lo 0,1 % del PIL in termini di mancati introiti su base annua (IEA, 2023a). Il recupero di tali introiti potrebbe contribuire a sovvenzionare l'installazione di stazioni di ricarica superveloci o l'acquisto di autocarri (elettrici e a idrogeno) a basse emissioni di carbonio, il cui mercato è ancora agli albori. L'idrogeno potrebbe rappresentare un'opzione importante per decarbonizzare il trasporto di merci su strada e le rimanenti ferrovie a gasolio nel lungo periodo; tuttavia, i piani del Governo a riguardo non sono ancora definitivi.
L'Italia è al secondo posto nell'Unione europea per indice di possesso pro capite di autovetture, e il PNIEC prevede una riduzione del parco auto totale pari al 10 % circa da realizzarsi nel periodo 2021-2030. L'obiettivo ambizioso è in linea con la strategia atta ad indurre nuovi comportamenti virtuosi che favoriscano la decarbonizzazione dei trasporti (ITF, 2021; OECD, 2021c; MIT, 2022) e dovrebbe essere supportato da una riduzione del parco auto pari al 10 % circa. L'obiettivo ambizioso è in linea con l'approccio volto ad indurre cambiamenti nelle abitudini al fine di decarbonizzare i trasporti (ITF, 2021; OECD, 2021c; MIT, 2022) e dovrebbe essere supportato dall'introduzione di incentivi finanziari per la rottamazione di auto vecchie e ad alta intensità di carbonio, indipendentemente dall'acquisto di un'auto nuova. Alcuni Comuni hanno istituito programmi atti a offrire alle famiglie, per ciascuna vecchia auto che esse rottamano, dei buoni per il trasporto pubblico. Il Governo dovrebbe incoraggiare iniziative analoghe anche in altri Comuni e istituire uno schema nazionale attraverso il quale le famiglie percepiscano una somma forfettaria per ogni auto vecchia rottamata. L'importo forfettario può essere fissato in linea con il prezzo delle auto vecchie sul mercato secondario, e i relativi oneri fiscali possono essere contenuti limitando i fondi complessivamente stanziati per il programma e destinandoli ai veicoli maggiormente inquinanti. Ciò contribuirebbe a ridurre lo stock di 4 milioni di auto altamente inquinanti, ed è in linea con le recenti proposte atte a vietare l'accesso di tali veicoli nei centri urbani. Ove corredata da sussidi mirati e più generosi per l'acquisto di autovetture a emissioni zero, la misura garantirebbe notevoli incentivi alla riduzione e al rinnovo del parco auto attuale.
La tassazione dei cosiddetti fringe benefit per le autovetture dovrebbe essere ulteriormente inasprita, in quanto tali agevolazioni incentivano un maggiore utilizzo dell'automobile (OECD, 2014). In Italia, le auto aziendali rappresentano annualmente più di un terzo delle nuove immatricolazioni (Transport & Environment, 2022), sebbene tale percentuale sia diminuita nel 2021. Il limite di esenzione sul reddito imponibile legata alla fruizione di un'auto aziendale (che tiene conto dell'uso privato di tale auto) è stato recentemente elevato ed in parte correlato all'intensità delle emissioni inquinanti prodotte dall'auto. La quota può essere ulteriormente incrementata, poiché in Italia sembra essere ancora relativamente bassa rispetto ad altri Paesi (Transport & Environment, 2022). L'obiettivo finale dovrebbe essere quello di ridurre le dimensioni del parco auto inducendo i dipendenti a non trovare alcuna differenza tra il percepire un compenso in denaro o il ricevere un compenso in natura mediante la fornitura di un'auto aziendale. Nell'aumentare la tassazione applicata ai fringe benefit legati alle autovetture, il Governo dovrebbe considerare l'introduzione di un differenziale – attualmente inesistente – nella quota del compenso in natura considerato come reddito imponibile, distinguendo così tra le auto a zero emissioni e quelle a basse emissioni (fino a 60 g/km di CO2). Dovrebbe, inoltre, aumentare il differenziale tra le auto a basse emissioni e quelle a medie emissioni (tra 60 g/km e 160 g/km di CO2), attualmente pari a soli 5 punti percentuali. Si incentiverebbe così una maggiore diffusione delle auto a zero emissioni, contribuendo alla creazione di un loro mercato di seconda mano.
L'esperienza di Milano suggerisce, inoltre, che l'introduzione di un sistema di tariffazione della congestione stradale può ridurre il ricorso alle auto e contribuire ad abbattere le emissioni di CO2 derivanti dal loro utilizzo (Riquadro 2.4; OECD, 2019). Gli introiti derivanti dai sistemi di tariffazione della congestione stradale possono essere utilizzati per rafforzare la mobilità urbana sostenibile, mentre l'esenzione delle auto a zero emissioni da tali regimi attraverso sistemi di riconoscimento delle targhe può accrescere il livello di attrattività di tali auto rispetto a quelle tradizionali dotate di motore a combustione interna.
Al fine di ridurre i livelli di traffico e inquinamento atmosferico, nel 2012 Milano ha introdotto una "tassa di congestione" imposta ai veicoli in circolazione in un'area centrale della città che costituisce circa il 5 % del territorio comunale (la cosiddetta "Area C"). Dopo un periodo pilota di 18 mesi, il sistema è stato approvato attraverso un referendum ed è così diventato una misura permanente (Comune di Milano, 2022). Il regime vieta l'accesso ai veicoli più inquinanti e lunghi e impone una tassa sugli altri veicoli alimentati a benzina e gasolio (rispettivamente, 2-5 EUR per i residenti e 3-6 EUR per i non residenti) nell'orario compreso tra le ore 07:30 e le ore 19:30 dei giorni lavorativi. I veicoli elettrici e a motore ibrido e le motociclette possono accedere liberamente all'Area C. I proventi vengono utilizzati per iniziative di gestione delle strade volte ad incoraggiare la mobilità attiva, tra cui le piste ciclabili, le aree pedonali e le zone a velocità ridotta (Comune di Milano, 2022). Nel 2019, la città ha introdotto una zona a basse emissioni inquinanti (catalogata come Low Emission Zone – LEZ) che copre il 75 % del territorio cittadino (la cosiddetta "Area B"), nella quale sono vietati i veicoli più inquinanti e i camion di maggiori dimensioni. Nel 2023, il divieto riguarderà la maggior parte dei veicoli a gasolio e a benzina altamente inquinanti, e il suo ambito di applicazione sarà gradualmente esteso fino al 2030 (Comune di Milano, 2022).
Il sistema appare efficace in termini di riduzione dell'utilizzo dell'auto e del conseguente rilascio di emissioni atmosferiche, comprese quelle di CO2. Il livello di congestione nella "Area C" è diminuito del 28 % e le emissioni di CO2 sono calate del 35 %, per quanto non siano disponibili dati sulle emissioni al di fuori dell'area interessata dal sistema di pedaggi sulla congestione. Anche altri inquinanti atmosferici (quali il particolato (PM10) (-18 %), gli ossidi di azoto e l'ammoniaca) hanno registrato una diminuzione significativa. È dimostrato che il sistema ha anche incrementato la diffusione delle pratiche di noleggio di biciclette note come bike-sharing (Cornago, Dimitropoulos e Oueslati, 2019).
L'Italia deve accelerare in modo significativo l'adozione di veicoli elettrici e di altri veicoli a zero emissioni per allinearsi agli obiettivi di decarbonizzazione nel settore dei trasporti e raggiungere il traguardo UE fissato al 2030 in merito all'intensità media delle emissioni delle autovetture di nuova immatricolazione, inferiore alla metà dell'attuale livello registrato dall'Italia. Nel 2022, la quota di veicoli elettrici nelle nuove immatricolazioni si attesterà a meno del 10 %, ben al di sotto della media dell'UE e inferiore a Francia e Germania di ben 2 o 3 volte (Figura 2.18).
Il PNIEC persegue obiettivi ambiziosi, prevedendo che entro il 2026 le nuove immatricolazioni di veicoli elettrici supereranno quelle delle autovetture alimentate a Gas di Petrolio Liquefatto (GPL) e metano, per le quali l'Italia rappresenta il principale mercato dell'Unione europea. Il PNIEC, inoltre, prevede la realizzazione di un parco veicoli elettrici composto da 6,6 milioni di unità entro il 2030 (MASE, 2023). Il raggiungimento di tale obiettivo implica che le immatricolazioni annuali di nuovi veicoli elettrici nel periodo 2024-2030 dovranno essere 7 volte superiori al livello registrato nel 2021. Il potenziamento della presenza dei veicoli elettrici, inoltre, può svolgere un ruolo fondamentale nel miglioramento della stabilità della rete elettrica. Le batterie dei veicoli elettrici, infatti, sono in grado di fornire alla rete l'energia immagazzinata, mitigando così i picchi di domanda mediante sistemi di ricarica bidirezionali. Un veicolo completamente carico può fornire energia sufficiente a sostenere una famiglia media per svariati giorni (IEA, 2023b).
Per incrementare il livello di diffusione dei veicoli elettrici, l'Italia prevede la concessione di incentivi all'acquisto di autovetture elettriche. Per aumentare effettivamente gli acquisti di tali veicoli, il sistema deve tuttavia essere riformato. L'importo del contributo concesso potrebbe essere troppo esiguo per incoraggiare l'acquisto di modelli entry-level da parte delle famiglie a basso reddito. Nel 2022, buona parte dei contributi per l'acquisto di veicoli elettrici è rimasta inutilizzata e, a metà del 2023, l'utilizzo di tali incentivi era inferiore al 20 % degli importi stanziati per l'intero anno solare 2023 (Tabella 2.5). La scarsa fruizione di tali incentivi, comunque, non deriva da una debole propensione verso i veicoli elettrici. Nel 2022, nel 50 % circa dei casi, gli acquirenti di veicoli elettrici non hanno beneficiato degli incentivi messi a disposizione, previsti soltanto per le auto al di sotto di un certo massimale di prezzo (Tabella 2.5), testimoniato l'interesse per i veicoli elettrici da parte delle famiglie ad alto reddito che non necessitano di avvalersi dei contributi statali. Gli incentivi disponibili per l'acquisto di automobili con motore a combustione interna – che sono anche essi legati a un limite di prezzo e, pertanto, non possono essere utilizzati per l'acquisto di modelli costosi – si sono esauriti nell'arco di poche settimane, il che lascia supporre che le famiglie a basso reddito abbiano optato per auto più economiche con motore a combustione. La differenza in termini di prezzo al netto dei contributi esistente tra i veicoli elettrici meno costosi e le automobili con motore a combustione in Europa è pari a 10 000 EUR circa (IEA, n.d.). Sebbene l'incentivo per l'acquisto di un veicolo elettrico in Italia ammonti attualmente a 5 000 EUR, quello relativo all'acquisto di un'auto con motore a combustione interna è, invece, pari a 2 000 EUR, il che implica che la differenza netta è di soli 3 000 EUR. Il contributo per l'acquisto di un veicolo elettrico in Germania, invece, ammontava a ben 9 000 EUR nel 2022.
L'Italia dovrebbe concentrarsi sulla riduzione del divario di prezzo esistente tra i veicoli elettrici di modello entry-level e le auto con motore a combustione interna. Il primo passo dovrebbe consistere nella cessazione dei contributi previsti per l'acquisto di autovetture con motore a combustione che, in ambito UE, sono previsti solo in Francia e Romania, oltre che in Italia (Transport & Environment, 2022). Inoltre, andrebbero aumentati i sussidi destinati all'acquisto di veicoli elettrici. Per puntare ai veicoli elettrici di modello entry-level, il sistema degli incentivi dovrebbe essere scaglionato, offrendo importi più cospicui nel caso di auto più economiche e riducendo gradualmente i sussidi nel caso di modelli più costosi. L'ammissibilità all'erogazione del contributo dovrebbe essere subordinata alla rottamazione di un'auto vecchia e altamente inquinante, ad eccezione delle famiglie che non possiedono già un'automobile. Una tale condizione impedirebbe al programma di contribuire ad accrescere il parco veicoli complessivo e garantirebbe un uso efficiente dei fondi pubblici. Lo stanziamento annuale previsto dal programma, attualmente inferiore allo 0,05 % del PIL, dovrebbe essere ampliato nel breve periodo (per generare una massa critica all'interno del mercato nazionale dei veicoli elettrici) e poi gradualmente ridotto nel medio periodo man mano che il mercato maturerà, in linea con il modello applicato da Regno Unito e Germania. Con un incentivo medio pari a 5 000 EUR, lo stanziamento esistente può sostenere l'acquisto di circa 100 000 veicoli elettrici ogni anno, a fronte di un obiettivo di circa 900 000 immatricolazioni di veicoli elettrici all'anno nel periodo compreso tra il 2024 e il 2030.
L'Italia registra un livello relativamente basso di veicoli elettrici circolanti per ciascun punto di ricarica pubblico; tuttavia, se misurato in termini pro capite, il numero di punti di ricarica pubblici nel Paese è inferiore di circa tre volte quello della media dell'UE ed è significativamente inferiore a quello offerto da Germania e Francia (Figura 2.19). Sebbene si rilevi una maggiore offerta di punti di ricarica privati, questi non possono sostituire le stazioni di ricarica pubbliche, che sono assolutamente necessarie sia nei centri urbani sia lungo le autostrade e le strade interurbane. La scarsità di punti di ricarica pubblici disponibili per abitante potrebbe scoraggiare le famiglie dall'acquistare veicoli elettrici per effetto della cosiddetta "ansia da ricarica". L'obiettivo del PNRR di sovvenzionare l'installazione di ulteriori 20 000 stazioni di ricarica pubbliche nel periodo 2023-2025 appare modesto rispetto alla raccomandazione dell'UE di rendere disponibile 1 stazione di ricarica pubblica per ogni 10 veicoli elettrici in circolazione. Tale obiettivo, infatti, implicherebbe l'installazione di circa 600 000 punti di ricarica aggiuntivi entro il 2030, e il primo bando di gara per l'installazione sovvenzionata di punti di ricarica sulle autostrade ha riscosso scarso interesse tra gli operatori di settore. L'Italia dovrebbe accelerare ulteriormente la diffusione di stazioni di ricarica per veicoli elettrici disponibili al pubblico e promuovere l'installazione di stazioni private. Le campagne di informazione atte ad illustrare i vantaggi finanziari e ambientali offerti dai veicoli elettrici possono contribuire ulteriormente ad aumentare la diffusione di tali mezzi. Il Governo ha recentemente deciso di istituire una piattaforma nazionale per la localizzazione di tutte le stazioni di ricarica disponibili al pubblico e le relative informazioni, ivi inclusi i prezzi di ricarica e la quota di elettricità rinnovabile utilizzata.
Incentivi per l'acquisto di veicoli a motore in Italia, 2023, migliaia di EUR
Singolo incentivo |
Massimale prezzo auto |
Dotazione complessiva |
|||||
---|---|---|---|---|---|---|---|
Standard |
Nuclei familiari a basso reddito |
||||||
Con rottamazione |
Senza rottamazione |
Con rottamazione |
Senza rottamazione |
Anno intero |
Utilizzo a metà anno |
||
Auto elettriche BEV |
5 |
3 |
7,5 |
4,5 |
35 |
190 000 |
21 % |
Auto elettriche PHEV |
4 |
2 |
6 |
3 |
45 |
225 000 |
4 % |
Auto ICE |
2 |
/ |
2 |
/ |
35 |
150 000 |
100 % |
Moto elettriche |
4 |
3 |
4 |
3 |
/ |
35 000 |
39 % |
Motocicli ICE |
2,5 |
/ |
2,5 |
/ |
/ |
5 000 |
100 % |
Camion elettrici |
9 |
/ |
/ |
/ |
/ |
15 000 |
5 % |
Nota: BEV (veicolo elettrico a batteria): 0-20 gCO2/km; PHEV (veicolo elettrico ibrido plug-in): 21-60 gCO2/km; auto ICE (motore a combustione interna): 61-135 gCO2/km; camion elettrici: 0-12 t. Famiglie a basso reddito: ISEE < 30 000 EUR. Il limite di prezzo si applica al prezzo netto prima dell'IVA. I numeri sono espressi in migliaia di EUR.
Fonte: elaborazioni a cura dell'OCSE basate su dati forniti dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy, Ecobonus (https://ecobonus.mise.gov.it/).
La riforma delle tasse relative alla vendita, all'immatricolazione e alla proprietà delle auto può accrescere ulteriormente l'attrattiva esercitata dai veicoli a zero emissioni. Nel periodo 2019-2021, l'Italia ha imposto una tassa di vendita elevata (la cosiddetta "ecotassa") sull'acquisto di auto ad alte emissioni (da un minimo di 1 100 EUR a un massimo di 2 500 EUR). Il Governo può reintrodurre tale tassa e imporla su tutti i veicoli in base alle emissioni atmosferiche rilasciate, piuttosto che applicarla solo alle auto maggiormente inquinanti. In alternativa, il Governo potrebbe aumentare la tassa di immatricolazione provinciale una tantum, che attualmente è bassa, e subordinarla all'intensità delle emissioni atmosferiche generate. Alcune province hanno introdotto l'esenzione dal pagamento della tassa di immatricolazione per i veicoli elettrici. L'iniziativa potrebbe essere estesa anche a livello nazionale. L'Italia applica una speciale sovrattassa annuale sulle auto con motori di grossa cilindrata (il cosiddetto "superbollo"). Il Governo dovrebbe ora considerare la possibilità di subordinare il "superbollo" alle emissioni prodotte piuttosto che alla potenza del motore, e di abolire le esenzioni previste per le auto vecchie. I veicoli elettrici sono esentati dalle tasse di proprietà per i primi 5 anni e beneficiano successivamente di una generosa riduzione (OECD, 2020). La medesima esenzione si applica alle auto alimentate a GPL e metano che, sebbene in quantità inferiore rispetto alle auto a benzina e gasolio, rilasciano comunque emissioni di CO2 (EEA, n.d.). La tassazione di queste autovetture dovrebbe essere gradualmente riformata affinché, nel medio periodo, esse siano trattate alla stregua degli altri veicoli che emettono CO2.
L'Italia dovrebbe continuare a potenziare le alternative al trasporto su gomma. Attualmente soltanto 7 città italiane dispongono di una rete della metropolitana e solo 11 di una rete tranviaria; inoltre, la qualità del trasporto pubblico nelle grandi città del Paese risulta essere scarsa (IEA, 2023a). I Fondi di Next Generation EU, i Fondi Strutturali europei e i fondi mobilitati dalla Legge di Bilancio 2022 dovrebbero finanziare investimenti pari all'1 % circa del PIL italiano nei prossimi anni in favore della mobilità sostenibile, quali: nuove infrastrutture di trasporto rapido di massa, autobus a zero emissioni, treni regionali e piste ciclabili. Gli investimenti sono integrati da misure volte a snellire gli iter amministrativi previsti per la concessione di permessi in favore di attività atte a favorire la mobilità urbana pulita. Gli effetti di tali investimenti sarebbero ulteriormente amplificati da iniziative atte a indurre i Comuni a potenziare le corsie preferenziali riservate agli autobus, un'opzione a basso costo per rendere il trasporto pubblico più allettante rispetto alle automobili.
Anche per il settore ferroviario sono previsti investimenti pari al 2,5 % circa del PIL italiano. Tali investimenti sono principalmente diretti a migliorare l'infrastruttura dei treni ad alta velocità, potenziare le reti ferroviarie regionali ed elettrificare le linee ferroviarie che attraversano le regioni del Sud dell'Italia. Si stima che gli investimenti previsti dal PNRR per il settore ferroviario ridurranno le emissioni annue dei trasporti del 2 % circa (Alpino, Citino e Zeni, 2023). Il PNRR italiano mira anche a modificare le abitudini comportamentali degli italiani al fine di ridurre del tutto il fabbisogno di mobilità, ad esempio favorendo lo svolgimento del lavoro a distanza.
È necessario compiere ulteriori sforzi volti per migliorare le interconnessioni tra le ferrovie e gli aeroporti, favorendo così una riduzione del numero di voli di collegamento di breve durata tra le città più piccole e i grandi hub. Dovrebbero essere rafforzati anche i collegamenti ferroviari con i Paesi limitrofi, che in molti casi non sono dotati di linee ad alta velocità. Tali investimenti, che contribuirebbero anche a sostituire le strade per il trasporto di passeggeri e merci, dovrebbero privilegiare i casi caratterizzati dai costi più bassi in rapporto ai benefici.
Il settore dell'aviazione nazionale aderisce al Sistema per lo scambio di quote di emissione di gas a effetto serra dell'UE (ETS), sebbene attualmente benefici di accise sui combustibili fossili quasi nulle. Una proposta di revisione della Direttiva UE sulla tassazione dell'energia mira a introdurre aliquote minime di accise sui carburanti per l'aviazione per 10 anni. Al fine di limitare la quota crescente di emissioni derivanti dal trasporto aereo, l'Italia potrebbe considerare di andare oltre il livello minimo previsto e adeguare le accise sui carburanti per il trasporto aereo a quelle applicate agli altri combustibili fossili. Il Paese, inoltre, potrebbe razionalizzare le molteplici tasse applicate al trasporto aereo che non sono legate ai carburanti e introdurre una tassa unica che tenga conto della disponibilità di collegamenti ferroviari alternativi e della tariffa pagata da ciascun passeggero. La tassa unica potrebbe decrescere in base al tempo impiegato dal treno per coprire un dato percorso e aumentare in base al prezzo del biglietto pagato da ciascun passeggero. Tale approccio promuoverebbe l'equità della tassazione dei voli e terrebbe conto del fatto che i biglietti più costosi contribuiscono maggiormente alla redditività delle compagnie aeree e alla loro decisione di operare voli (van Ewijk, Chaudhary e Berrill, 2023).
Si stima che gli edifici contribuiranno in misura significativa al raggiungimento dell'obiettivo di riduzione delle emissioni dell'Italia nei settori disciplinati dal Regolamento UE sulla condivisione degli sforzi. Con una percentuale pari al 20 % circa, le emissioni prodotte dagli edifici italiani impattano a livello economico in misura significativamente più elevata rispetto alla media dell'UE (Figura 2.2). L'aggiornamento del PNIEC si prefigge di ridurre le emissioni di oltre il 40 % nel periodo compreso tra il 2005 e il 2030, sebbene nel periodo 2005-2021 esse abbiano registrato un calo inferiore al 15 %. La riduzione rilevata in Italia nel periodo 2005-2021, infatti, è stata notevolmente al di sotto dei livelli registrati nel resto dell'UE e implica che il ritmo della decarbonizzazione deve accelerare in misura significativa.
Poiché la grande maggioranza degli edifici esistenti sarà ancora in piedi nel 2050, gli interventi di cosiddetto retrofitting, ossia di riqualificazione energetica (ad esempio, attraverso il miglioramento dei sistemi di coibentazione, l'elettrificazione degli impianti di riscaldamento e raffreddamento, e l'integrazione di sistemi alimentati ad energia rinnovabile in loco), rappresentano una priorità cruciale per il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione. Sebbene la disciplina che regola il patrimonio storico e culturale dell'Italia preveda che alcuni dei suoi edifici siano soggetti a tutela e potrebbero, pertanto, non essere sottoposti ad interventi di retrofitting, il numero di tali edifici di fatto ammonta a circa 75 000 unità (MIC, n.d.), ovvero meno dell'1 % del patrimonio complessivo. Pertanto, la vasta maggioranza degli edifici può, in linea di principio, essere sottoposta a tali interventi. La proposta di riforma della Direttiva UE sulla prestazione energetica nell'edilizia stabilisce un calendario ben scandito: ad eccezione degli edifici storici e di quelli preposti ad essere luoghi di culto e strutture per la difesa, l'Italia dovrebbe rinnovare il 15 % degli edifici meno efficienti dal punto di vista energetico entro il 2030 e un altro 15-20 % entro il 2033 se la riforma sarà stata approvata. Per realizzare la decarbonizzazione totale entro il 2050, l'Italia ha bisogno di sottoporre annualmente a retrofitting il 2,5 % del suo patrimonio immobiliare nel periodo compreso tra il 2020 e il 2050 (MASE, 2021). Gli interventi di riqualificazione approvati con il "superbonus" (un regime finanziato dal Governo per il retrofitting) hanno consentito di adeguare ai requisiti previsti meno del 3 % del patrimonio immobiliare nel periodo 2021-2022. Tuttavia, comportando oneri fiscali complessivi pari al 4 % circa del PIL annuo, la sua convenienza economica si è rivelata molto scarsa (Alpino, Citino e Zeni, 2023), evidenziando la necessità di attuare politiche dei costi più efficaci.
Ove approvata, la proposta di riforma della Direttiva UE sulla prestazione energetica degli edifici avrebbe conseguenze di vasta portata. Essa si prefigge: (i) una riduzione delle emissioni del settore degli edifici pari almeno al 60 % entro il 2030 rispetto ai livelli registrati nel 2015; (ii) il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050; e (iii) l'aumento della diffusione dell'energia rinnovabile negli edifici fino al 50 % entro il 2030.
Gli attestati di prestazione energetica previsti per gli edifici nell'UE verrebbero riformati in modo tale che gli edifici meno efficienti dal punto di vista energetico di ciascun Paese siano assegnati alla categoria G, gli edifici a emissioni zero siano assegnati alla categoria A, e tutti gli altri siano distribuiti proporzionalmente tra le categorie che vanno da B a F. Gli edifici pubblici e non residenziali dovrebbero qualificarsi almeno per la classe F entro il 2027 e per la classe E entro il 2030. Analogamente, gli edifici residenziali dovrebbero rientrare nella classe F entro il 2030 e almeno nella classe E entro il 2033. Gli Stati membri dell'UE dovrebbero, pertanto, stabilire scadenze precise per il raggiungimento di uno stock di edifici a emissioni zero entro il 2050 attraverso nuovi piani nazionali di ristrutturazione degli edifici. La Commissione prevede di mobilitare fino a 150 miliardi di EUR dal bilancio dell'UE fino al 2030 per finanziare i costi di investimento iniziali, accordando priorità alle famiglie che risiedono in edifici meno efficienti dal punto di vista energetico (Commissione europea, 2021).
Tutti gli edifici di nuova costruzione dovrebbero essere "a emissioni zero" a partire dal 2030 (2027 per gli edifici pubblici). Il 3 % della superficie totale di tutti gli edifici pubblici dovrebbe essere sottoposto ad interventi di riqualificazione annualmente, e il consumo di energia nel settore pubblico dovrebbe essere ridotto del 2 % circa ogni anno. Inoltre, il consumo di energia da fonti rinnovabili per gli impianti di riscaldamento e di raffreddamento dovrebbe aumentare di oltre 1 punto percentuale all'anno. La graduale eliminazione dei combustibili fossili dovrebbe essere completata entro il 2040.
In Italia gli edifici registrano consumi energetici relativamente alti e il loro utilizzo dell'energia elettrica, invece, è scarso. Sebbene i loro consumi energetici abbiano iniziato a diminuire dalla metà degli anni 2010, dagli edifici deriva tuttora il 30 % circa del consumo energetico italiano (Figura 2.3). Gli edifici residenziali italiani tendono ad essere inefficienti dal punto di vista energetico in quanto nella maggior parte dei casi, sono stati costruiti anteriormente all'introduzione dei primi standard di efficienza energetica (Figura 2.20) e sono, infatti, responsabili della maggior parte delle emissioni generate (Figura 2.21, Grafico A). I loro consumi di energia e le loro emissioni di carbonio sono significativamente più elevati rispetto ai livelli registrati in Spagna, Paese che tuttavia gode di un clima simile a quello italiano (Figura 2.21, Grafico B).
La maggior parte delle emissioni di gas serra generate dagli edifici residenziali in Italia deriva dal riscaldamento degli ambienti (Figura 2.21, Grafico A). Al contrario, in Norvegia gli edifici emettono pressoché zero emissioni nonostante le difficili condizioni climatiche. Più in generale, si rileva una scarsa correlazione tra consumo energetico ed emissioni di CO2 nei vari Paesi (Hoeller et al., 2023). Ciò suggerisce che è possibile ridurre le intensità di emissioni di CO2 derivanti dagli edifici attraverso la loro elettrificazione, attualmente ancora scarsamente diffusa in Italia (Figura 2.22), una loro migliore coibentazione, e la decarbonizzazione del settore energetico. La decarbonizzazione del settore energetico e una migliore coibentazione degli edifici contribuirebbero anche a limitare il potenziale aumento delle emissioni derivanti dalla prevista maggiore necessità di raffreddamento degli ambienti, attività che rappresenta ancora una piccola quota delle emissioni generate (Figura 2.21, Grafico A) ma potrebbe crescere con l'aumento delle temperature estive.
Rispetto ad altri settori, il comparto degli edifici potrebbe non essere così sensibile ai segnali legati ai prezzi volti ad incoraggiare la riduzione delle emissioni di gas serra (Hoeller et al., 2023; D'Arcangelo et al., 2022). Il prezzo effettivo del carbonio per l'Italia nel settore dell'edilizia è sostanzialmente superiore alla media dell'UE (Figura 2.15), e a ciò si aggiunge la sempre maggiore disponibilità di accesso a tecnologie volte a ridurre il livello delle emissioni generate dagli edifici. Ciononostante, in Italia le emissioni derivanti dagli edifici sono diminuite in misura nettamente inferiore ai livelli rilevati nel resto dell'Unione europea (Figura 2.2). Ciò suggerisce che l'introduzione del Sistema per lo scambio delle quote di emissioni di gas serra dell'UE nel settore dell'edilizia potrebbe di per sé non indurre, nel 2027, una drastica accelerazione dell'abbattimento dei livelli di carbonio.
La scarsa reattività ai segnali dei prezzi nel settore degli edifici è correlabile a una molteplicità di fattori, tra cui: la durata prolungata dei cicli di ristrutturazione; la tendenza di molte famiglie ad abitare in immobili presi in affitto piuttosto che acquistati, avendo accesso ad un numero inferiore di strumenti per rispondere all'aumento dei prezzi dell'energia (Fowlie, Greenstone e Wolfram, 2015); la preponderanza di casi di ristrettezze finanziarie; la limitata comprensione del risparmio di denaro che deriverebbe dall'abitare in case a basso consumo energetico (Hoeller et al., 2023); e la difficile concertazione delle iniziative all'interno di edifici che contengono numerose unità abitative. Tuttavia, per quanto rilevanti, tali questioni non sembrano essere sufficienti per spiegare la maggiore lentezza dei progressi registrati nell'ambito del processo di decarbonizzazione degli edifici italiani, malgrado prezzi del carbonio più elevati che nel resto dell'UE. Pertanto, si conclude che i costi per l'abbattimento del carbonio negli edifici potrebbero essere più elevati in Italia che altrove.
I contributi (sussidi) e le agevolazioni fiscali disponibili possono accelerare la diffusione di nuove tecnologie superando l'ostacolo posto da eventuali ristrettezze finanziarie. Tali iniziative, tuttavia, possono altresì implicare ingenti oneri fiscali e, come tali, devono essere concepiti con oculatezza. Le politiche in materia devono essere definite tenendo conto del fatto che alcuni investimenti (ad esempio i tripli vetri per le finestre) producono effetti limitati (Gerarden, Newell and Stavins, 2017) e che, se non adeguatamente mirati, i contributi e le agevolazioni fiscali rischiano di finanziare interventi di ristrutturazione che sarebbero stati intrapresi comunque (Risch, 2020).
L'Italia si avvale prevalentemente di agevolazioni fiscali e contributi diretti (sussidi) per sostenere la riqualificazione energetica di edifici privati e pubblici, tuttavia il relativo rapporto benefici-costi si rivela modesto. Nell'ambito del regime del cosiddetto "Ecobonus", i soggetti privati e le imprese possono detrarre dalla loro imposta sul reddito una percentuale delle spese sostenute per alcune tipologie di interventi di riqualificazione energetica di edifici già esistenti. Nel periodo compreso tra il 2014 e il 2020, l'Ecobonus ha mobilitato investimenti per un valore complessivo pari a circa l'1,5 % del PIL italiano per la realizzazione di interventi che hanno coinvolto il 20 % circa del patrimonio edilizio del Paese; tuttavia, il risparmio energetico stimato è stato inferiore all'1 % del consumo energetico annuo degli edifici residenziali (ENEA, 2021).
L'Ecobonus denota un'impostazione di tipo regressivo, in quanto le famiglie che godono di maggiore ricchezza abitativa e di capitale proprio possono beneficiare di crediti di imposta più elevati. Oltre la metà degli interventi finanziati sono stati erogati a beneficio di famiglie che si collocano nel decimo decile della distribuzione del reddito (UPB, 2023). Gli interventi recenti dovrebbero attenuare il tratto regressivo dell'Ecobonus, in quanto il Governo ha introdotto uno schema parallelo nel contesto del Capitolo RePowerEU del PNRR che è rivolto alle giovani famiglie e a quelle a rischio di povertà energetica.
Il generosissimo programma "Superbonus", introdotto nel 2020 e rimodulato più volte, ha inizialmente concesso agevolazioni fiscali pari al 110 % dei costi di ristrutturazione per progetti che generano un importante incremento dell'efficienza energetica pari ad almeno due classi energetiche. Per agevolare l'adozione del programma, il Governo ha disposto che il credito di imposta potesse essere trasferito a terzi, consentendo così alle famiglie che non sono assoggettate a oneri di imposta e/o che non dispongono di capitale proprio sufficiente di accedere comunque al regime. Ne è derivata una correlazione più moderata tra il reddito delle famiglie e il livello di assorbimento dell'Ecobonus (UPB, 2023). A febbraio 2023 sono stati approvati interventi di ristrutturazione a vantaggio di poco più del 3 % del patrimonio immobiliare italiano, per un onere fiscale complessivo che ammonta al 4 % circa del PIL (UPB, 2023), sottolineando la scarsa convenienza economica del regime.
Di recente il Governo ha inasprito le condizioni previste per usufruire del "Superbonus" riducendo la percentuale dei costi rimborsabili, ponendo fine alla trasferibilità del credito di imposta a terzi, e indirizzando il programma alle famiglie a basso reddito. Le misure introdotte probabilmente ridurranno il tasso di assorbimento dell'incentivo in misura significativa. Il programma dovrebbe essere interamente soppresso entro il 2026. Altri due programmi (il Conto Termico e il Programma di Riqualificazione Energetica degli edifici della Pubblica Amministrazione Centrale – PREPAC) sono rivolti principalmente agli edifici della pubblica amministrazione. Tuttavia, la limitatezza delle loro dotazioni di bilancio e il loro livello di assorbimento potrebbero rivelarsi insufficienti per incoraggiare investimenti significativi.
L'Italia dovrebbe riformare il suo regime di sgravi fiscali per orientarlo verso edifici meno efficienti e integrarlo con un sistema basato su un mix di finanziamenti a lungo termine altamente agevolati e sussidi riservati alle famiglie a basso reddito a cui non sono imputati oneri fiscali sufficientemente elevati per poter richiedere crediti di imposta. L'incidenza degli incentivi erogati dovrebbe essere inversamente proporzionale al reddito delle famiglie, così come avviene in Francia (OECD, 2022a); tuttavia, una quota minima del costo dovrebbe essere sempre finanziata attraverso l'erogazione di prestiti atti a consentire alle famiglie di poter partecipare finanziariamente al progetto. Il sistema dovrebbe: (i) accordare la priorità agli interventi di adeguamento delle unità abitative meno efficienti sotto il profilo energetico utilizzate come abitazioni primarie; (ii) basarsi su una valutazione ex ante del potenziale di riduzione delle emissioni che caratterizza ciascun progetto e limitarsi agli interventi ad alto potenziale; e (iii) escludere le tecnologie alimentate da combustibili fossili ove siano disponibili alternative legate a fonti rinnovabili o elettricità. Sebbene attualmente possa essere scarsa, la propensione ad attivare prestiti agevolati a lungo termine per svolgere lavori di ristrutturazione volti all'efficientamento energetico degli immobili dovrebbe gradualmente aumentare parallelamente all'incremento dei prezzi dell'energia per il comparto degli edifici legato all'introduzione, nel 2027, del nuovo Sistema dell'UE per lo scambio delle quote di emissioni di CO2 per gli edifici e ad una maggiore consapevolezza della popolazione a riguardo.
Per incoraggiare i proprietari di immobili con destinazione residenziale a compiere scelte più verdi, l'Italia potrebbe, ad esempio, vietare l'utilizzo di tecnologie "sporche" o introdurre degli standard in materia di immobili concessi in locazione. L'Italia, che continua ad incentivare l'installazione di caldaie alimentate con combustibili fossili, dovrebbe porre immediatamente fine a tale politica, così come hanno fatto recentemente la Repubblica ceca e la Slovacchia (Riquadro 2.6). Dovrebbe, inoltre, considerare la possibilità di vietare l'installazione di caldaie alimentate a combustibili fossili nel medio termine. Per invogliare i proprietari di immobili a migliorarne il livello di efficienza energetica, l'Italia potrebbe altresì valutare la possibilità di fissare imposte sul reddito derivante da proprietà concesse in locazione che siano più elevate nel caso di abitazioni inefficienti dal punto di vista energetico. I proprietari che, invece, decidano di ristrutturare i loro immobili ad uso abitativo in virtù di tale politica possono poi trasferire il costo dei lavori di efficientamento energetico agli inquilini di tali immobili, che andrebbero comunque poi a risparmiare in bolletta. I proprietari che non sottopongano le loro proprietà immobiliari ad interventi di retrofitting e decidano di aumentare il canone di affitto richiesto per compensare le tasse più elevate a loro imposte incontrerebbero chiaramente maggiori difficoltà a reperire inquilini. Un'opzione politica ancor più rigorosa consisterebbe nel fissare requisiti minimi di efficienza energetica per gli immobili in affitto, come avvenuto in Francia e Scozia (Riquadro 2.6).
L'applicazione di standard atti a regolare gli immobili di nuova costruzione e gli interventi di riqualificazione energetica può garantire che debba essere accordata preferenza alle tecnologie più verdi ogni qualvolta queste siano disponibili. Dall'inizio del 2021 in Italia tutte le nuove costruzioni e quelle in fase di ristrutturazione devono allinearsi agli standard previsti per assicurare edifici a "emissioni quasi zero" (nZEB). L'Italia potrebbe prendere in considerazione l'ipotesi di potenziare tale aspetto imponendo che tutti gli edifici di nuova costruzione siano "a emissioni zero" (ZEB). Migliorare l'efficienza dei processi di ristrutturazione, come tentato in Estonia, Lettonia e Paesi Bassi (Riquadro 2.6), può favorire un'accelerazione degli interventi di riqualificazione energetica e accrescere la capacità delle imprese edili di soddisfare il previsto aumento della domanda. Gli interventi di ristrutturazione rapida diminuiscono anche il disagio associato al dover permanere in una abitazione durante i relativi lavori di ristrutturazione.
È possibile potenziare il sistema di Attestazione di Prestazione Energetica (APE), attualmente obbligatoria per le nuove costruzioni e per gli interventi di ristrutturazione importante, o laddove si intenda vendere o concedere in affitto un bene immobile, in quanto tali attestazioni consentono alle famiglie di divenire consapevoli dell'effettivo grado di efficienza energetica delle loro abitazioni. Classificazioni energetiche positive producono un aumento dei prezzi degli immobili (Taruttis e Weber, 2022), rafforzando così gli incentivi sui prezzi per le ristrutturazioni volte al miglioramento del livello di efficienza energetica. Attualmente, le APE coinvolgono circa il 10 % del patrimonio immobiliare nazionale. Poiché gli attuali piani di riforma della Direttiva europea sulla prestazione energetica dell'edilizia impongono la certificazione energetica, l'Italia può rendere la procedura immediatamente obbligatoria, come già avviene, ad esempio, nei Paesi Bassi. I criteri applicati dovrebbero essere rivisti regolarmente, affrontando anche la questione della scarsa qualità di numerose certificazioni rilasciate in passato.
Le politiche attuate da altri Paesi OCSE possono essere replicate dall'Italia al fine di decarbonizzare il suo patrimonio immobiliare. La Francia ha dichiarato illegale la locazione di abitazioni estremamente inefficienti dal punto di vista energetico a partire dal 2023 e prevede di inasprire ulteriormente tale normativa in futuro. In Scozia, un livello minimo di prestazione energetica è richiesto per le abitazioni concesse in affitto dal 2022, in sede di stipula di nuovo contratto di locazione, e per tutte le proprietà immobiliari a partire dal 2025.
La Repubblica ceca e la Slovacchia hanno recentemente abolito i contributi pubblici concessi per l'installazione di caldaie alimentate a gas naturale (Hoeller et al., 2023), in linea con la proposta di riforma della Direttiva UE sulla prestazione energetica dell'edilizia. La Lettonia e l'Estonia stanno testando l'uso di elementi modulari di prefabbricati multifunzionali per accelerare gli interventi di ristrutturazione e ridurre al minimo i disagi per gli occupanti delle abitazioni coinvolte. I Paesi Bassi hanno attuato un programma volto a favorire un migliore coordinamento delle varie fasi che compongono gli interventi di ristrutturazione, riducendo a soli 10 giorni la loro durata complessiva nel caso di edilizia abitativa sociale (social housing) a emissioni zero (OECD, 2023a).
La campagna "Viviamo più caldi!" (Dzīvo siltāk!) ha contribuito a quadruplicare, nell'arco di soli 2 anni, il numero di richieste per l'esecuzione di interventi di potenziamento dell'isolamento termico di edifici residenziali multi-unità (OECD, 2023b).
Un'azione di ulteriore sensibilizzazione dell'opinione pubblica sui benefici derivanti dal miglioramento dei livelli di efficienza energetica contribuirebbe ad accelerare il ritmo degli interventi di ristrutturazione profonda, come suggerito dall'esempio della Lettonia (Riquadro 2.6). L'Agenzia Nazionale per l'Efficienza Energetica (ENEA) sta attuando un programma di informazione e formazione volto a promuovere e agevolare un consumo efficiente dell'energia. Tra le prime iniziative intraprese da ENEA, la realizzazione di un sito web dedicato che consente ai consumatori di calcolare i loro risparmi energetici e il loro livello di efficienza energetica.
La promozione di nuovi comportamenti virtuosi può generare considerevoli riduzioni dei consumi di energia senza comportare alcun onere fiscale. Regolando gli impianti di riscaldamento ad una temperatura inferiore, ossia riducendola da 20ºC a 19ºC, si taglierebbe di circa il 10 % i consumi di gas derivanti dal riscaldamento di immobili residenziali. Se, inoltre, l'orario del servizio di riscaldamento fosse ridotto di 1 ora al giorno e la stagione del riscaldamento fosse abbreviata di 15 giorni, l'Italia potrebbe diminuire del 15 % circa gli attuali consumi energetici, con un conseguente notevole risparmio per le famiglie in termini di costi in bolletta (ENEA, 2022). Le misure di natura temporanea introdotte durante la crisi energetica del periodo 2022-2023 per imporre risparmi energetici negli edifici pubblici e nei condomini privati, dovrebbero essere applicate su base permanente.
Ridurre le emissioni inquinanti è di importanza fondamentale per favorire la mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici. Il processo, tuttavia, richiederà l'attuazione di cambiamenti profondi in seno all'economia italiana. Simulazioni stilizzate del Modello ENV-Linkages dell'OCSE (Riquadro 2.7) confermano che le politiche in programma, quali quelle previste nel PNIEC, e l'inasprimento della legislazione UE in materia di clima potrebbero non essere sufficienti per consentire all'Italia di raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni fissati al 2030 (Figura 2.23; Grafici A e B). Il previsto inasprimento delle politiche applicate implicherà costi macroeconomici contenuti, con una riduzione del PIL pro capite pari allo 0,7 % circa nel 2030 rispetto a uno scenario di riferimento antecedente all'adozione della Legge sul clima dell'UE (Grafico C).
Il Modello ENV-Linkages dell'OCSE è un modello globale, dinamico e settoriale di equilibrio economico generale computazionale (Computable General Equilibrium – CGE) che consente di simulare gli effetti delle politiche di mitigazione del clima su emissioni, variabili macroeconomiche, risultati settoriali e commercio (Château, Dellink e Lanzi, 2014). Il Modello si basa su un quadro economico neoclassico con mercati quasi perfetti dei capitali, dei beni, e dei cosiddetti vintage capital.
Il Modello prevede altresì una rappresentazione settoriale e commerciale dettagliata, che lo rende consono allo studio degli effetti della politica climatica sul commercio e sui mercati delle materie prime e correla strettamente le emissioni di gas serra alle attività economiche. Considerato il suo breve orizzonte temporale (fino al 2030), lo studio non tiene conto degli effetti dei cambiamenti climatici sulle variabili economiche. Non sono considerati nemmeno i benefici economici di una riduzione degli inquinanti atmosferici sulle spese sanitarie e sulla produttività del lavoro.
La calibrazione viene effettuata facendo riferimento allo scenario macroeconomico del Modello di lungo periodo dell'OCSE, con le Prospettive economiche dell'OCSE (OECD Economic Outlook) datate novembre 2022 (OECD, 2022b) e integrate con le Prospettive economiche mondiali del Fondo Monetario Internazionale (IMF World Economic Projections) datate ottobre 2022 (IMF, 2022) per i Paesi non coperti dal Modello di lungo periodo dell'OCSE. Due sono gli scenari considerati: uno di riferimento per il 2020 e uno più ambizioso, che si avvale di informazioni sulle politiche adottate nel quadro della riforma della politica climatica dell'UE e sulle politiche nazionali degli Stati membri dell'UE, come descritto nei rispettivi Piani Nazionali per l'Energia e il Clima. Gli obiettivi di riduzione, rispetto al 1990, delle emissioni di CO2 a livello UE entro il 2030 nello scenario di riferimento e di crescita delle ambizioni sono rispettivamente pari al 42,5 % e 55 %.
La transizione rafforzerà il passaggio strutturale dal settore manifatturiero a quello dei servizi (Tabella 2.6). L'industria manifatturiera subirà perdite in termini occupazionali, riflettendo l'impatto dell'aumento dei prezzi del carbonio sui costi di produzione dei beni industriali ad alta intensità di emissioni: ciò ridurrà la competitività dell'Italia nei settori ad alta intensità energetica (il Modello ENV-Linkages dell'OCSE non presuppone alcun cambiamento di policy nei Paesi terzi). Poiché l'incidenza delle professioni legate al consumo di combustibili fossili è maggiormente elevata nelle regioni dell'Italia meridionale (Riquadro 2.8), vi è il rischio che la disoccupazione locale possa aumentare in misura significativa in alcune zone. Al contrario, i settori dei servizi a minore intensità di emissioni inquinanti registreranno una maggiore crescita occupazionale.
Differenze tra lo scenario di riferimento 2020 e lo scenario delle politiche aggiornate 2023 in relazione agli esiti 2030
|
Produzione (%) |
Occupazione1 |
---|---|---|
Agricoltura |
-0,9 |
-131,2 |
Manifattura |
-1,7 |
-838,3 |
Edilizia |
-0,1 |
19,0 |
Servizi |
-0,3 |
422,5 |
Energia elettrica |
1,8 |
183,0 |
Elettricità da centrali a petrolio |
-54,2 |
-9,7 |
Energia elettrica da centrali a gas |
-39,4 |
-167,4 |
Energia idroelettrica |
58,4 |
176,0 |
Energia eolica |
56,9 |
67,5 |
Energia solare |
57,1 |
142,0 |
Trasmissione e distribuzione dell'energia elettrica |
-3,2 |
-25,4 |
Totale |
-0,6 |
-0,1 |
Nota: 1 le variazioni riferite all'occupazione sono indicate in migliaia di persone occupate, normalizzate per il salario del settore di riferimento.
Fonte: elaborazioni a cura dell'OCSE basate su dati Château, Dellink e Lanzi (2011), OCSE (2022a) e FMI (2022).
L'occupazione nei settori dell'edilizia e dell'energia aumenterà per effetto della necessità di riqualificare gran parte del patrimonio immobiliare italiano, potenziando le infrastrutture verdi e incentivando la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, determinando potenziali carenze di manodopera in tali settori. Per far fronte alle carenze è necessario: incrementare la produttività, altresì riducendo le barriere all'ingresso per le imprese di altri Paesi dell'UE; accrescere l'offerta di manodopera, riducendo le norme in materia di accesso al lavoro e agevolando l'immigrazione qualificata (OECD, 2023a); potenziare i finanziamenti rivolti a programmi di formazione e riqualificazione, nonché iniziative di orientamento professionale. Inoltre, poiché l'aumento della produzione di energia elettrica verde dovrebbe essere concentrato in alcune aree del Mezzogiorno, le politiche di promozione della mobilità geografica dei lavoratori contribuirebbero a favorire la ridistribuzione dei lavoratori necessari per la gestione e la manutenzione delle centrali elettriche verdi, consentendo loro di apportare un contributo all'economia locale (Cai et al., 2017).
Nel 2019, il 5 % circa dei lavoratori in Italia svolgeva un'occupazione inquinante, attestandosi a livelli leggermente superiori alla media dell'UE (Causa e Soldani, di prossima pubblicazione). Le professioni altamente inquinanti, identificate secondo una metodologia simile a quella di Vona et al. (2018), sono concentrate soprattutto al Sud Italia e sono meno diffuse al Centro e al Nord del Paese (Figura 2.24). La percentuale di lavoratori che svolgono professioni verdi, identificata da Causa e Soldani (di prossima pubblicazione) attraverso un adattamento ai dati europei dei contenuti delle professioni verdi coinvolte secondo la classificazione O*NET (Dierdorff et al., 2009; Dierdoff et al., 2011), è più omogenea tra le varie regioni del Paese.
Tendenzialmente i lavoratori che svolgono professioni altamente inquinanti sono uomini e sono nati all'estero, hanno un livello di istruzione più basso e vivono in aree non urbane (Tabella 2.7). Anche i lavoratori che svolgono professioni verdi sono con maggiore probabilità uomini, ma tendenzialmente si tratta di individui nati in Italia, che possiedono un livello di istruzione più alto (cfr. anche Basso et al., 2023) e vivono in aree urbane.
Caratteristiche dei lavoratori che svolgono professioni inquinanti e verdi
Inquinante |
Non inquinante |
Differenza |
Verde |
Non-verde |
Differenza |
||
---|---|---|---|---|---|---|---|
% Donne |
0,17 |
0,44 |
-0,27* |
0,23 |
0,50 |
-0,27* |
|
Età |
45,40 |
45,75 |
-0,35 |
45,81 |
45,64 |
0,16 |
|
Numero di figli |
0,80 |
0,75 |
0,04 |
0,80 |
0,75 |
0,05* |
|
% Contratti temporanei |
0,27 |
0,17 |
0,10 |
0,13 |
0,18 |
-0,05* |
|
% Istruzione universitaria |
0,09 |
0,24 |
-0,15* |
0,29 |
0,20 |
0,09* |
|
% Area urbana |
0,18 |
0,30 |
-0,13* |
0,31 |
0,28 |
0,03* |
|
% Nati all'estero |
0,18 |
0,11 |
0,07* |
0,11 |
0,12 |
-0,01* |
Nota: medie basate sui dati 2018-2019; * indica la significatività statistica con intervallo di confidenza al 99 %; errore standard raggruppato per regione.
Fonte: dati EU-LFS ed elaborazioni a cura dell'OCSE.
La transizione consentirà l'espansione di alcuni mercati già esistenti e la creazione di nuovi (tra cui, ad esempio, veicoli elettrici (VE) e componenti dell'energia verde) e al contempo determinerà la contrazione di altri comparti. Ciò potrebbe generare opportunità, ma anche nuove sfide per il settore manifatturiero italiano. Molte delle politiche governative necessarie per realizzare la transizione possono stimolare l'innovazione delle imprese italiane, aiutandole così a conquistare alcune quote dei nuovi mercati verdi. Il Governo, tra l'altro, sta pianificando una semplificazione della legislazione che regola l'estrazione e la lavorazione delle materie prime critiche. Questa e altre iniziative dovrebbero essere accompagnate da una spesa più elevata per il comparto della R&S verde (sia pubblica che privata) e da politiche del mercato del lavoro favorevoli alla crescita.
L'aumento dei prezzi del carbonio può determinare effetti distributivi rilevanti e determinare una delocalizzazione dei posti di lavoro. Il fenomeno della povertà energetica è particolarmente accentuato in Italia, dove la percentuale di reddito che le famiglie del quintile inferiore spendono per i consumi energetici è superiore del 50 % circa alla media dell'UE (soprattutto a causa delle spese elevate sostenute per i consumi energetici legati all'abitazione). Al contrario, la percentuale di reddito spesa dalle famiglie che si collocano nel quintile superiore è grosso modo in linea con la media dell'UE (Menyhert, 2022). Con maggiori probabilità, i nuclei familiari più indigenti abitano in immobili in affitto e potrebbero incontrare maggiori difficoltà a riqualificare le loro abitazioni attraverso interventi di efficientamento energetico, anche laddove sia prevista l'erogazione di contributi finanziari, a causa del problema della scissione degli incentivi tra proprietari e affittuari. Inoltre, è più probabile che tali nuclei familiari possiedano automobili più vecchie e meno efficienti dal punto di vista energetico e che non dispongano dei capitali necessari per sostituirle. È altresì più probabile che le occupazioni inquinanti siano svolte da lavoratori che possiedono un livello di istruzione più basso e vivono in aree più rurali (Riquadro 2.8), per cui la potenziale eliminazione di tali professioni potrebbe esacerbare le tensioni sociali.
La definizione di politiche volte alla mitigazione dei cambiamenti climatici dovrebbe considerare i relativi aspetti distributivi (OECD, 2021b). Gli investimenti rivolti a sostenere alternative di mobilità sostenibile e gli incentivi mirati all'acquisto di veicoli elettrici possono aiutare le famiglie a basso reddito a far fronte all'impatto derivante dall'aumento dei prezzi del carburante per auto, favorendo l'acquisto di modelli a basse emissioni di carbonio e riducendo la necessità di possedere una autovettura. Gli investimenti pubblici diretti alla costruzione e alla ristrutturazione di edilizia abitativa sociale (social housing) efficiente dal punto di vista energetico e conforme ad elevati standard ambientali (come previsto dal PNRR italiano e dal suo Capitolo REPowerEU) ridurrebbero il rischio di povertà energetica e contribuirebbero alla decarbonizzazione degli alloggi in maniera diretta. Per aiutare a far fronte agli effetti redistributivi della transizione, potrebbe essere necessario potenziare gli incentivi erogati. Al fine di finanziare tali politiche, nel periodo 2026-2032 l'Italia potrà usufruire di fondi pari a circa lo 0,3-0,4 % del suo PIL a valere sul nuovo Fondo sociale per il clima dell'UE, alimentabile con i proventi del nuovo Sistema dell'UE per lo scambio di quote di emissione di CO2 derivanti dagli edifici e dal settore dei trasporti.
La realizzazione della transizione avrà un impatto negativo sulle finanze pubbliche italiane. Il fabbisogno di investimenti per realizzare la transizione è stimato pari a oltre il 5 % del PIL annuo nel periodo 2023-2030 (MASE, 2023), di cui una quota dovrà essere sostenuta dal settore pubblico. Considerato il contenuto margine di manovra fiscale, il Governo deve selezionare con oculatezza i progetti di investimento pubblico da realizzare, dando priorità a quelli caratterizzati dai costi più bassi in rapporto ai benefici ottenuti, e altresì privilegiando misure di tassazione piuttosto che l'erogazione di incentivi per incoraggiare gli investimenti nel settore privato. Tuttavia, non ci si può aspettare che tasse sul carbonio più elevate rappresentino un beneficio ingente per le finanze pubbliche, poiché esse tendono ad avere un'impostazione regressiva e poiché la maggior parte dei loro proventi potrebbe dover essere ridistribuita alle famiglie a basso reddito sotto forma di trasferimenti diretti.
Sebbene l'azione di mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici sarà onerosa dal punto di vista fiscale, le analisi controfattuali condotte per altri Paesi suggeriscono che il rapporto debito pubblico/PIL potrebbe essere molto più elevato in caso di inazione nel lungo periodo, poiché i governi si troverebbero a dover sostenere la maggior parte dei costi derivanti da eventi meteorologici estremi incontrollati (Office for budget responsibility, 2021; The Network of EU IFIs, 2022). Il Governo italiano dovrebbe condurre una valutazione approfondita dell'impatto complessivo che la transizione climatica e i cambiamenti climatici producono sulla sostenibilità fiscale. In tal modo si potrebbe contribuire alla formulazione di politiche di mitigazione che siano responsabili da un punto di vista fiscale e potenziare il ricorso ai green bond per mobilitare fondi pubblici destinati a finanziare gli investimenti verdi, agevolando così la contabilità verde.
Attualmente le accise sui combustibili fossili generano annualmente un gettito pari all'1,5 % circa del PIL. Il Governo dovrà prevedere altre imposte volte a compensare il previsto calo del gettito delle accise sui combustibili fossili, dal momento che l'uso di questi ultimi diminuirà gradualmente. L'Italia tassa altresì i consumi di energia elettrica. Ciò riduce gli incentivi, in termini di prezzo, all'elettrificazione degli usi finali, ma potrebbe costituire una garanzia per le finanze pubbliche. Una strategia volta a prevenire possibili contrasti tra obiettivi ambientali e obiettivi fiscali può consistere nel ridurre temporaneamente le attuali tasse sull'elettricità e nell'aumentare le tasse sul carbonio in maniera neutrale dal punto di vista delle entrate. Infine, quando il sistema energetico sarà prossimo alla decarbonizzazione integrale, si potrà procedere ad un aumento delle tasse sull'elettricità (OECD, 2019b). In alternativa, nel settore dei trasporti, un'altra opzione volta a compensare il venir meno di tasse sui combustibili fossili potrebbe consistere nel passare gradualmente dalla tassazione del carburante alla tassazione sulla distanza percorsa (OECD/ITF, 2019).
I cambiamenti climatici stanno accrescendo la frequenza dei rischi legati al clima (quali precipitazioni estreme, siccità e ondate di caldo), a cui l'Italia è fortemente esposta (Figura 2.25). Considerata la conformazione geografica dell'Italia e l'elevata copertura artificiale del suolo (la più alta nell'UE), le precipitazioni estreme hanno un'alta probabilità di causare inondazioni e frane, come confermato da eventi recenti. I rischi legati al clima possono danneggiare le infrastrutture strategiche, alterare le catene di approvvigionamento e danneggiare i settori direttamente esposti quali l'agricoltura e il turismo (Mariani e Scalise, 2022; Accetturo e Alpino, 2023), nonché le attività manifatturiere e di servizi (Cascarano, Natoli e Petrella, 2022). Si stima che gli eventi meteorologici estremi siano causa di danni infrastrutturali cumulativi pari a circa il 10 % del PIL nel periodo 2021-2030 (MIT, 2022). Inoltre, il lungo protrarsi di temperature molto elevate, aumentate significativamente nel corso degli ultimi decenni, possono incrementare lo stress termico e ridurre la produttività del lavoro (Heal e Park, 2015; Zander et al., 2015). L'aumento delle temperature, di per sé, potrebbe ridurre di circa un decimo il potenziale di crescita del PIL italiano nel lungo periodo (Brunetti et al., 2022). Il regime di Cassa Integrazione italiano è stato recentemente emendato per coprire i casi di sospensione del lavoro dovuta a temperature superiori ai 35°C.
Per adattarsi ai cambiamenti climatici, il Governo italiano ha elaborato, ma non ancora approvato, il suo primo Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC, Riquadro 2.9). Uno degli obiettivi principali del PNACC mira alla creazione di un meccanismo di governance nazionale per l'adattamento ai cambiamenti climatici attraverso l'istituzione di un Osservatorio nazionale sul clima. L'Osservatorio sarà incaricato di dirigere i processi di definizione e approvazione delle priorità perseguite dagli interventi, assegnare le risorse stanziate, nonché monitorare e valutare i progressi e l'efficacia del processo di adattamento ai cambiamenti climatici. Il PNACC prevede anche altre misure pratiche atte ad agevolare il coordinamento e lo scambio di conoscenze tra i vari livelli di governo, tra cui l'istituzione di un forum permanente e di un programma di ricerca dedicato. Elemento chiave del PNACC italiano è l'inclusione di una revisione del rischio climatico, attraverso la quale viene fornita una panoramica dei rischi climatici rilevati e previsti nel Paese in base a tre scenari climatici. L'approvazione del PNACC sarà seguita dalla pianificazione e dall'attuazione di azioni di adattamento in aree e settori specifici, che convergeranno in piani settoriali e intersettoriali atti a delineare gli interventi specifici da attuare.
Sebbene contribuisca a mappare le fonti di finanziamento esistenti a livello europeo, nazionale e regionale in grado di finanziare potenzialmente le azioni di adattamento ai cambiamenti climatici, il PNACC non valuta i livelli o le fonti di finanziamento esistenti né il fabbisogno finanziario totale per le azioni previste. Il PNRR italiano aveva inizialmente previsto uno stanziamento di fondi pari allo 0,5 % circa del PIL per gli investimenti in materia di adattamento ai cambiamenti climatici; tuttavia, una quota di tali fondi è stata stralciata con la recente riforma del PNRR. Una strategia di finanziamento complementare accrescerebbe le probabilità di successo dell'attuazione del PNACC e contribuirebbe al conseguimento di un efficace processo di adattamento.
Consapevole dei crescenti impatti derivanti dai cambiamenti climatici e della necessità di potenziare la capacità di adattamento a tali cambiamenti, l'Italia ha recentemente sviluppato il suo primo Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC), che sarà lanciato nel corso del 2023. Guidato dal Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE), il PNACC mira a rafforzare un ambiente favorevole all'adattamento ai cambiamenti climatici e fornisce un quadro di riferimento per la valutazione dei rischi climatici, al fine di sostenere la pianificazione e l'attuazione di azioni di adattamento ad essi sia a livello nazionale che locale e settoriale.
Il PNACC sarà accompagnato da una serie di piani settoriali e intersettoriali che delineeranno gli specifici interventi da attuare. Affinché tali piani contribuiscano efficacemente a sviluppare la resilienza ai cambiamenti climatici, sarà essenziale elaborare una valutazione completa del rischio climatico che includa proiezioni del rischio su scala ridotta in base a diversi scenari di aumento delle temperature. L'analisi dei rischi climatici attuali effettuata dal PNACC rappresenta un punto di partenza che deve essere ulteriormente integrato con informazioni territoriali relative all'esposizione e alle vulnerabilità previste per le persone, i beni e le attività settoriali. Tali elementi sono tutti essenziali per identificare efficacemente gli obiettivi e i traguardi in materia di adattamento e per accordare priorità alle azioni a livello locale e settoriale. Ad esempio, la Repubblica slovacca ha analizzato il grado di vulnerabilità della popolazione a livello di municipalità, al fine di indirizzare meglio gli interventi in materia di adattamento ai cambiamenti climatici.
Sebbene il Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica svolga un ruolo di coordinamento fondamentale, l'attuazione delle azioni di adattamento ai cambiamenti climatici si basa sull'impegno di tutti gli attori settoriali e subnazionali coinvolti. Pertanto, è necessario assicurare una chiara definizione dei diversi ruoli assegnati e delle diverse responsabilità attribuite. Il PNACC italiano non prevede tale aspetto, sebbene contempli la definizione di ruoli e responsabilità nell'ambito delle fasi successive alla sua pubblicazione.
Misure, obiettivi e scadenze chiare e specifiche per l'adattamento ai cambiamenti climatici sono di fondamentale importanza per orientare l'attuazione delle politiche e dei progetti a livello geografico e settoriale. Il PNACC suggerisce oltre 350 azioni che potrebbero essere intraprese per potenziare la resilienza climatica, che spaziano da misure soft (incentrate sull'informazione e sulla governance, circa il 75 %) a misure verdi (basate sugli ecosistemi, circa il 15 %) e grigie (infrastrutture e tecnologia, circa il 10 %). Sebbene tale elenco di misure possa fornire una buona base per informare e ispirare gli stakeholder regionali e settoriali, la loro inclusione nei piani settoriali deve procedere di pari passo con una chiara definizione delle priorità, dei costi e dei flussi di finanziamento. Nel Regno Unito, ad esempio, la valutazione dei rischi legati ai cambiamenti climatici identifica gli obiettivi di adattamento da raggiungere nei 5 anni successivi, correlati ai rischi identificati e corredati da tempistiche e indicatori di progresso.
Uno degli obiettivi chiave perseguiti dal PNACC consiste nell'istituzione di un meccanismo di governance nazionale per l'adattamento ai cambiamenti climatici, a partire dallo sviluppo di un Osservatorio nazionale dedicato. L'Osservatorio ha il potenziale per accompagnare i settori e i governi subnazionali nella definizione dei ruoli e delle responsabilità, delle priorità e degli obiettivi di adattamento ai cambiamenti climatici, nonché per agevolare il coordinamento tra le varie agenzie coinvolte e lo sviluppo delle capacità a tutti i livelli di governo.
Le azioni concrete in materia di adattamento ai cambiamenti climatici in Italia dovrebbero contemplare molteplici misure. Investimenti rivolti agli argini dei fiumi ridurrebbero il pericolo di inondazioni nelle aree ad alto rischio. La piantumazione di alberi, la realizzazione di tetti verdi e la riproduzione dei sistemi di drenaggio naturale nelle città contribuirebbero a limitare il deflusso delle acque meteoriche (diminuendo così il rischio di inondazione) e a ridurre il livello delle temperature elevate nelle città. Una maggiore diffusione dei sistemi di raffreddamento e un più efficace livello di coibentazione degli edifici contribuirebbero ad incrementare la resilienza alle ondate di caldo. La riduzione del tasso di dispersione delle condutture idriche in Italia, che attualmente è tra i più elevati nell'Unione europea, aumenterebbe i livelli di stoccaggio delle acque. Impegnarsi nella captazione delle acque piovane (raccolta e stoccaggio delle piogge) e in altre misure naturali di accumulo idrico ridurrebbe le pressioni esercitate sulle risorse di acqua dolce, che si collocano tra i livelli più alti rilevati nei Paesi OCSE (Figura 2.26), incrementerebbe la resilienza alla siccità, ridurrebbe il rischio di inondazioni e consentirebbe di ottenere risparmi sulla bolletta dell'acqua. È importante assicurare un'attuazione rigorosa delle norme che impediscono la costruzione di nuovi edifici e l'ampliamento di quelli esistenti in aree ad elevato rischio di disastri idrogeologici.
Occorre promuovere la diffusione di meccanismi assicurativi privati tra le famiglie e le imprese. Ciò garantirebbe la copertura finanziaria nel caso di disastri legati al clima e potrebbe incentivare condotte individuali atte alla prevenzione del rischio se agli assicurati che si impegnano ad attuare misure di adattamento ai cambiamenti climatici venissero offerti premi ridotti. Il Governo italiano potrebbe altresì considerare l'opportunità di rendere obbligatorie le assicurazioni private legate al clima nel lungo periodo, al fine di contenere il previsto aumento del debito pubblico risultante dai cambiamenti climatici.
PRINCIPALI CONCLUSIONI |
RACCOMANDAZIONI |
---|---|
Rafforzamento delle istituzioni e della governance |
|
Sebbene ambiziose, le politiche previste dal Piano Nazionale per l'Energia e il Clima (PNIEC) non sono sufficienti per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni perseguiti dall'Italia. |
Rafforzare le misure esistenti e introdurre ulteriori politiche nel PNIEC per consentire all'Italia di raggiungere gli obiettivi di riduzione delle sue emissioni. |
Gli obiettivi di riduzione delle emissioni a livello europeo vincolano soltanto l'UE nel suo complesso. Inoltre, l'obiettivo di emissioni nette zero in tutti i settori dell'economia italiana non è giuridicamente vincolante. |
Sancire per legge l'obiettivo di azzeramento delle emissioni in tutti i settori dell'economia al 2050 e fissare obiettivi intermedi giuridicamente vincolanti da raggiungere nel periodo compreso tra il 2030 e il 2050. |
Non esiste un organo esecutivo incarico di indirizzare il PNIEC. Il monitoraggio dei progressi delle politiche di mitigazione dei cambiamenti climatici e dei relativi risultati è di importanza prioritaria. |
Ampliare il mandato dell'attuale Comitato Interministeriale per la Transizione Ecologica al fine di conferirgli la responsabilità di guidare l'agenda della politica climatica. Istituire un comitato indipendente sul clima con funzioni di valutazione e consulenza sulle politiche. |
Ridefinizione delle tasse sui combustibili fossili in base al loro contenuto di carbonio |
|
I prezzi effettivi del carbonio variano notevolmente a seconda dei settori e dei tipi di combustibili, con conseguenti grandi differenze nei costi di abbattimento tra i diversi settori. |
Assicurare continuità ai piani per incrementare gradualmente le accise sui combustibili fossili laddove sono basse, anche abolendo le esenzioni e gli sgravi concessi. |
Incremento della produzione di elettricità verde |
|
La "riforma delle aree idonee" attualmente in corso per la costruzione di nuove centrali elettriche a energia rinnovabile potrebbe accelerare l'iter autorizzativo che, nonostante alcuni recenti snellimenti, è ancora lento e complesso. |
Emanare i decreti attuativi della "riforma delle aree idonee". Aumentare la soglia massima prevista per la realizzazione di impianti nelle aree idonee attraverso la Procedura Abilitativa Semplificata (PAS) e mantenere l'esenzione dalla Valutazione d'Impatto Ambientale (VIA) per gli impianti a bassa capacità site in aree idonee oltre luglio 2024. Assicurare una pronta approvazione dei piani volti alla gestione dello spazio marittimo. |
La Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) e l'Autorizzazione Unica Ambientale (AUA) spesso richiedono tempistiche più lunghe di quelle previste dalla legge, in particolare per i progetti di grandi dimensioni. |
Assoggettare ciascuna fase della Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) e dell'Autorizzazione Unica Ambientale (AUA) al principio del tacito consenso. |
La lentezza dell'iter autorizzativo per nuovi investimenti in favore della rete elettrica ha frenato la connessione alla rete per i produttori di energia rinnovabile. |
Portare avanti gli sforzi atti a snellire l'iter degli investimenti cruciali identificati nel Piano Nazionale per l'Energia e il Clima (PNIEC). |
Decarbonizzazione dei trasporti |
|
L'Italia si classifica al secondo posto nell'UE per proprietà pro capite di autovetture. Si rileva, inoltre, un'elevata percentuale di autovetture vecchie e altamente inquinanti. |
Offrire incentivi finanziari per la rottamazione delle auto vecchie, indipendentemente dall'acquisto di auto nuove. Continuare ad aumentare la tassazione dei fringe benefit relativi alle auto, in particolare per quelle inquinanti. Incoraggiare l'istituzione di tasse sulla congestione del traffico cittadino. Continuare a potenziare il trasporto pubblico e le reti ferroviarie regionali. |
Le tasse sulla vendita, l'immatricolazione e la proprietà delle auto non sono pienamente correlate alle emissioni di gas a effetto serra che esse generano, rendendo così meno incisivi gli incentivi volti a favorire la diffusione di auto a basse emissioni di carbonio. |
Reintrodurre la tassa sulla vendita delle automobili correlata alle emissioni generate ("ecotassa") e applicarla a tutti i veicoli in base all'intensità delle loro emissioni. Eliminare gradualmente le esenzioni dalla tassa di proprietà per le auto a GPL e a gas naturale nel medio periodo; correlare il "superbollo" applicato ai veicoli di grandi dimensioni all'intensità delle loro emissioni inquinanti piuttosto che alla potenza del loro motore ed eliminare gradualmente le esenzioni previste per le auto più vecchie. |
I veicoli elettrici (VE) sono poco diffusi; i sussidi concessi per l'acquisto di veicoli elettrici sono per lo più inutilizzati. |
Rifocalizzare gli incentivi all'acquisto di autovetture sui veicoli elettrici di modello entry-level ed eliminare gradualmente i sussidi per l'acquisto di auto con motore a combustione interna. Accelerare la diffusione di stazioni di ricarica elettrica. |
Il settore dei trasporti aerei è responsabile di una quota crescente di emissioni inquinanti. |
Collegare gli aeroporti alle ferrovie; continuare a rafforzare il sistema ferroviario ad alta velocità, soprattutto nelle regioni del Sud del Paese; migliorare ed espandere i collegamenti ferroviari, sia a livello internazionale che nazionale. |
Decarbonizzazione degli edifici |
|
Il sistema degli incentivi fiscali, di tipo regressivo e poco efficace in termini di costi, dedicati agli interventi di riqualificazione energetica (retrofitting) delle abitazioni è stato oggetto di riforma, ma potrebbe essere insufficiente per stimolare gli interventi di retrofitting realizzati da famiglie assoggettate a una bassa imposizione fiscale. |
Integrare gli incentivi fiscali per interventi di riqualificazione energetica degli edifici con la concessione di prestiti agevolati a lungo termine e contributi diretti. Eliminare gradualmente i crediti d'imposta previsti nel caso di installazione di caldaie a gas. |
I proprietari di immobili sono poco incentivati a rinnovare le loro proprietà concesse in locazione. |
Considerare l'introduzione di eventuali misure volte a indurre i proprietari a riqualificare le loro proprietà concesse in locazione che sono inefficienti dal punto di vista energetico, anche attraverso l'attuazione di misure normative o una maggiore tassazione dei canoni di locazione. |
Spesso le famiglie non conoscono il livello di efficienza energetica delle loro abitazioni o hanno una scarsa comprensione dei benefici derivanti dall'abitare in una casa efficiente dal punto di vista energetico. |
Rendere più rigorosi i requisiti previsti per il rilascio delle certificazioni di efficienza energetica e continuare a promuovere campagne di informazione e di alfabetizzazione finanziaria per accrescere la comprensione dei benefici finanziari derivanti dagli interventi di riqualificazione energetica. |
Gestione della transizione e adattamento ai cambiamenti climatici |
|
La transizione determinerà la perdita di posti di lavoro nei settori ad alta intensità di carbonio e potrebbe generare carenze di manodopera nel settore dell'edilizia. |
Rafforzare le politiche di formazione e riqualificazione, e promuovere iniziative di orientamento professionale. |
Le famiglie a basso reddito spendono una quota relativamente maggiore dei loro introiti per far fronte ai loro consumi energetici e saranno maggiormente penalizzate da tasse più elevate sui combustibili fossili e dall'aumento dei prezzi del carbonio. |
Continuare a investire nell'edilizia sociale (social housing) a basse emissioni di carbonio e nel settore dei trasporti di massa. Offrire una compensazione alle famiglie a basso reddito riutilizzando parte dei proventi derivanti dalla tariffazione del carbonio per potenziare trasferimenti di denaro mirati. |
L'Italia è fortemente esposta alle conseguenze dei cambiamenti climatici, come evidenziato dai recenti eventi meteorologici estremi. Gli investimenti necessari sono in corso. |
Adottare e attuare celermente il Piano Nazionale di Adattamento al Clima (PNIEC). Garantire finanziamenti adeguati per le misure volte a ridurre i rischi di alluvioni e frane. |
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